Una speranza fedele alla terra

Viviamo questo tempo di Pasqua, festa della primavera, della rinascita, della liberazione dalle schiavitù dei diversi egitti, della liberazione dallo stesso buco nero della morte attraverso il buco bianco della risurrezione vissuta nella speranza, di cui i cristiani dovrebbero essere un sia pur fragile segno, in un momento storico tormentato e drammatico, dentro sofferenze inaudite, esposto a rischi radicali. Quasi non c’è bisogno di passare attraverso tutti i grani di rosario delle diverse ferite aperte e sanguinanti a Gaza, in Ucraina, ad Haiti e in decine di zone di un mondo sempre più fuori controllo e sempre più avvelenato da disuguaglianze e ingiustizie nella distribuzione delle risorse, delle opportunità, delle protezioni sociali, delle libertà. Sempre meno orientato e governato da idealità e passioni capaci di dare un senso e un orientamento all’esistenza di donne e uomini, soprattutto ragazze e giovani che guardano con preoccupazione al loro futuro.

Eppure, bisogna saper vedere i tanti percorsi nuovi, i cammini carsici, i diversi tentativi attraverso cui il principio-speranza prova a riorganizzarsi dentro un contesto nel quale tutto sembra negare la possibilità di scegliere strade che non siano quelle obbligate dal mercato e dai mercanti, dalle logiche di potenza e dai loro presidi militari, dai nazionalismi identitari o dalla liquidità consumista.

Perfino il richiamo del Papa ad intraprendere con coraggio la via di negoziati di pace o la voce coraggiosa e flebile del Segretario generale dell’Onu contro i crimini di guerra sollevano alti lai da parte della necropolitica dominante (poi vedi la stima dello Stockolm International Peace Research Institute che attribuisce all’Italia un 86% in più nella vendita delle armi nel periodo 2019/2023 e capisci).

Qui non si tratta di fuggire la realtà con le sue contraddizioni rifugiandosi in bunker ideologici consolatori e a basso costo, al contrario è necessario un nuovo realismo politico in grado di incidere nella realtà ben consapevoli che sono grandi solo quelle idee che possono realizzarsi. Chiarezza sugli ideali di fondo: pace, crescente uguaglianza, libertà dal bisogno e dall’oppressione e concretezza nel trovare le vie per affermarli sono due poli da tenere insieme. Per dirla con Mario Tronti, ricordandolo a poco più di un anno dalla sua ultima intervista proprio a noi di Rocca: pensare radicale e agire accorto. Una sfida per la cultura e la politica che non intende rassegnarsi all’ineluttabilità dello stato di cose presenti.

È difficile per i cristiani (peraltro ancora carichi di divisioni) vivere e annunciare dentro un orizzonte così plumbeo, che addirittura torna a mettere nel conto l’uso di armi in grado di cancellare la vita sulla terra, la promessa del Regno, di cieli nuovi e terra nuova dove regni la giustizia, di una condizione nella quale non ci siano «né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate» (Ap. 21,4). Eppure qui sta o cade la loro fede. «Se infatti i morti non risorgono neanche Cristo è risorto e vana sarebbe la nostra fede…» ( 1 Cor.15,12 e ss.). Questo è il cuore della speranza cristiana e la ragione che ha sorretto quanti di generazione in generazione e in qualunque situazione l’hanno annunciata in parole ed opere.

Attenti però a non correre il rischio di fare della religione, come sovente è avvenuto, una alienazione, comoda per i potenti di questo mondo. Pregare, annunciare e praticare la giustizia non sono momenti separabili se si vuole evitarla. «Chi sta su un piede solo sulla terra starà su un piede solo anche in cielo» scrive Dietrich Bonoheffer alla fidanzata dal carcere nazista.

E proprio a questo santo martire del periodo più nero del Novecento vorrei lasciare la parola, come un difficile augurio di Buona Pasqua che ci facciamo noi autori e lettori diRocca. La speranza cristiana della risurrezione si distingue da quelle mitologiche per il fatto che essa rinvia gli uomini alla loro vita sulla terra (…) Il cristiano non ha sempre a disposizione un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell’eterno (…) L’aldiquà non deve essere soppresso prematuramente. In questo Nuovo ed Antico Testamento restano uniti tra loro. I miti della redenzione nascono dalle esperienze limite degli esseri umani. Cristo invece afferra l’uomo al centro della sua vita.

P.S. Per la copertina di questo numero abbiamo scelto l’opera di Eugene Burnand «Le disciples Pierre et Jean courant au sepulcre le matin de la Resurrection», abbinandola al titolo dantesco (tratto dall’undicesimo canto del Paradiso), laddove i seguaci di Francesco corrono come il vento dietro a colui che ha fatto risorgere la buona notizia di cui fu messaggera agli apostoli Maria, l’amica del Signore, chiamata per nome in quel mattino del primo giorno dopo il sabato. In quella corsa Pietro e Giovanni portano l’incredulità, la sorpresa, la speranza di ciascuno di noi.