Lavoro, diritti sociali, punti cardinali

Il sommario del prossimo numero si Rocca

Ancora sono lavoro e diritti sociali ad occupare tante pagine della nostra rivista. No non è un’ossessione. È il tentativo di arginare l’ideologia, forse, ahimè, l’unica rimasta, che misura la società col metro fasullo dei dati sull’occupazione presi in blocco. Senza domandarsi: quale occupazione? Quali salari e stipendi? Quale orario di lavoro? Quali garanzie e diritti? Quale livello di sicurezza? Quale rapporto tra aumento dei prezzi e recupero salariale? Quale divario tra le retribuzioni più alte e retribuzioni più basse? Quale imposizione fiscale sui redditi da lavoro e sulle rendite finanziarie? E si potrebbe a lungo continuare.

Ma forse non ce n’è bisogno perché è visibile ad occhio nudo il crescere delle disuguaglianze, l’aumento della povertà assoluta e relativa, il fenomeno, per estensione nuovo, della coesistenza tra lavoro e povertà. Basta leggere i dati sulla battuta d’arresto delle vacanze, sui viaggi, sull’acquisto di case o di automobili, sul risparmio financo in riferimento ai consumi alimentari. E soprattutto sulla cura della propria salute.

Alcuni di questi fenomeni sono certamente di lungo periodo. Sono figli della disattenzione delle forze democratiche e popolari alla difesa intransigente del proprio insediamento sociale; della liquidazione di pezzi crescenti di tutele e di diritti sacrificati sull’altare del pensiero unico per il quale sarebbe bastato liberare le briglie dell’economia dai vincoli sociali per far cadere su tutto il popolo larghe messi di pepite d’oro.

Così non è. Ed è inevitabile peraltro che la concentrazione della ricchezza e l’aumento delle povertà alla lunga comprime la domanda e alimenta la crisi economica, fiacca la società e ne mina la coesione.

Eppure questa ricetta liberista (o sedicente tale) sembra ancora tenere alla prova del consenso di chi continua a votare. Gli altri tendono a mollare, a cercare una soluzione individuale, ad esprimere una sfiducia nella politica, che la politica, anche quella democratica, fa troppo poco per contrastare.

Ci sarebbe bisogno di una radicalità che renda molto chiaro ed evidente un diverso progetto sociale. Una politica che parta dagli ultimi per ricostruire un tessuto civile equilibrato, che rimetta al centro diritti sociali fondamentali: dalla sicurezza del lavoro e nel lavoro contro la precarietà gli infortuni e le morti, ad un salario che consenta una vita dignitosa e contrasti la continua sua erosione soprattutto in Italia, da una piena e universale tutela della salute contro la privatizzazione della sanità (pagata in gran parte con i soldi pubblici) che finisce per dar vita a stadard diversi di assistenza a seconda della posizione sociale, ad un reddito e, meglio, un lavoro di cittadinanza che non lasci nessuno in preda alla disperazione o alle mafie. Da un sistema pensionistico che abbia in basso e in alto un tetto che consenta di vivere una buona vecchia e che non arricchisca quelli che già ricchi sono, ad un sistema fiscale che redistribuisca reddito e garantisca servizi uguali per tutti secondo il programma costituzionale. Niente di rivoluzionario ma almeno uno straccio di orientamento “menescevico” sarebbe ben necessario. Almeno non arrendersi alla mera legge del profitto, alla ideologia del profitto, alla teologia del   profitto che sembra voler convincerti a dire: “non avrai alcun Dio all’infuori di me”. Che poi è la fine della politica, la sua riduzione ad ancella dell’economia e della finanza. Ed anche del rilancio di un’idea di difesa fondata sulla pura forza militare, dentro la quale un gigantesco piano di riarmo finirebbe per assorbire le risorse necessarie al mantenimento dello welfare e al riequilibrio dei rapporti nord/sud del mondo, senza del quale è vano pensare ad un governo civile dei flussi migratori. 

Insomma lavoro, diritti sociali, pace sono i perni di una possibile alternativa di politica e di società che può trovare anche in una ispirazione cristiana una radice capace di portare linfa sul terreno eminentemente laico della rifondazione di più solidi e credibili soggetti politici democratici e costituzionalmente orientati. Provarci col pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà è un bel compito per chi vuol contribuire ad alleggerire il mondo dalle ingiustizie e, per dirla col linguaggio creativo del Papa, dalle inequità.

P.S.
Nei giorni trascorsi dalla chiusura dell’ultimo numero sono scomparse due personalità del mondo della politica e della cultura italiane che meritano un nostro ricordo.

Giorgio Napolitano con gli onori dovuti a chi ha cercato di onorare le istituzioni che, al massimo livello, ha rappresentato. Ad accompagnarlo, insieme ad un generale rispetto, è stato il vociare scomposto di giornali liberi, veritieri e fattuali e insieme l’astio di una buona parte della rive gauche che o non ne ha fatto menzione o l’ha contrapposto a Berlinguer, dimenticando che all’epoca gli stessi odierni manichei aborrivano sia l’uno che l’altro. Chi ha compiuto un gesto semplice e grande è stato, come sovente capita, il Vescovo di Roma. Ha portato un saluto silenzioso, senza pompa ed esibizione. Senza segni e benedizioni. Ma quella sua presenza diceva da sola di una speranza che è tanto più forte quanto più si presenta col volto della debolezza. Dove sta se non qui il paradosso cristiano?

Gianni Vattimo, un filosofo italiano tra i più stimolanti e profondi, ironici e provocatori. Ci ha insegnato a vedere nella dimensione kenotica l’aspetto fondamentale della fede cristiana. A guardare alla secolarizzazione come ad un frutto del cristianesimo ma a vedere, nello stesso tempo, nella carità il limite invalicabile della secolarizzazione. Come ha detto Giovanni Ferretti nel ricordarlo, “senza il comandamento cristiano dell’amore” si “dissolverebbe quella forza spirituale” capace di mettere in crisi le ingiustizie del mondo. C’è chi ha scritto che il pensiero debole è stato l’ultimo pensiero forte della filosofia italiana contemporanea. Si può essere d’accordo o no e certo non è questa la sede per aprire un dibattito specialistico ma riconoscere a Vattimo la creatività e la profondità di pensiero, la passione civile e l’inquietudine della fede ci è sembrato doveroso.

E poi che altro è avvenuto? Ah! La pesssssca. E, dulcis in fundo, la reiterazione dei dubia (ma che dubbi d’Egitto! Loro sembrano avere solo certezze) da parte dei punti (dalle risposte del Papa) cardinali. Che di solito son quattro, invece qui son cinque e già questo ci disorienta. Per cui transeat. Silere necesse est.