Un passo indietro e due avanti

Sbaglierò ma non credo molto ai proclami sulla riforma presidenzialista o semipresidenzialista o premierista. Perché andare a rischiare di mettere in discussione con un nuovo sistema quel che il sistema attuale garantisce con una certa sicurezza al polo conservatore italiano? Ricordiamoci che il polo progressista (che peraltro non esiste) non è stato mai maggioritario e che i governi più avanzati del nostro Paese sono stati, per distacco, quelli del primo centro-sinistra, allorquando, anche per il peso di una opposizione comunista forte e non settaria, si sono fatte le più grandi riforme: nazionalizzazione dell’energia elettrica, scala mobile, statuto dei diritti dei lavoratori, riforma sanitaria, istituzione della scuola media unica, abolizione dei manicomi, equo canone di affitto, costituzione delle Regioni e via e via. Non c’è confronto con alcuna altra fase politica.

Né si parlerà, o meglio, si parlerà ma non si opererà nessun superamento dell’attuale legge elettorale che espropria i cittadini della possibilità di eleggere i propri rappresentanti ma garantisce a tutti i partiti, di destra, di sinistra e ambidestri di eternizzare gruppi dirigenti sempre più chiusi nel Palazzo pasoliniano. La reazione di una parte crescente di cittadini sarà l’astensionismo. Non ci sarà un attacco frontale alla Costituzione ma una sua crescente sterilizzazione. Pandolfi, Pizzul e La Valle ne parlano con grande chiarezza ed efficacia in questo numero di Rocca.

Non si può dire che quella imboccata sia una via che porti ad una fuoriuscita dalla democrazia ma certamente tende a ridurla ad una sorta di democrazia minima. Il Parlamento continuerà ad esserci ma il governo ne farà sempre più un puro luogo di ratifica di decisioni assunte anche su questioni un tempo di esclusiva competenza parlamentare, le istituzioni regionali e locali finiranno per essere surrogate da poteri centrali. La Lega, cioè una forza nata su base sedicente federalista e propagandisticamente secessionista, si mette di traverso per impedire che venga nominato commissario per la ricostruzione in Romagna il Presidente della Regione. Ma di quale autonomia d’Egitto parlano costoro? E nessuno ci fa una battaglia politica, culturale, di principio.

Ma torniamo al punto: si sta procedendo a grandi passi verso un sostanziale svuotamento della Costituzione sul versante beni-diritti che ne definiscono l’impianto valoriale e programmatico e che minano l’articolo essenziale, il terzo, laddove si attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. È evidentissimo nella terminologia stessa di questo articolo il concorso dello spirito riformatore d’ispirazione cristiana e di quello di radice socialista. Il termine persona e l’evocazione dei lavoratori lo dicono chiaramente.

E se per fare due passi avanti la politica riformatrice dovesse farne uno indietro, ricominciando da questo ancoraggio costituzionale? Intanto battendosi contro la tendenziale liquidazione di diritti fondamentali a cominciare da quello della pubblica tutela della salute in modo universale e allo stesso livello qualitativo. L’ autonomia differenziata e l’impetuosa e assistita avanzata del privato vanno dalla parte opposta. Un finto riformismo ha aperto la strada a un vero percorso di restaurazione delle differenze sociali di fronte al settore più letteralmente vitale della società.

Mobilitarsi contro la messa in discussione della fiscalità progressiva, per una lotta vera all’evasione, per strumenti di redistribuzione che non escludono contributi sociali da parte delle grandi ricchezze. Il contrario dei condoni e della flat tax.

Fare argine a unilaterali riforme della Giustizia che nel nome del garantismo, certamente bene essenziale, rendano invulnerabili i grandi poteri e indeboliscano la lotta alle organizzazioni criminali.

Proporre investimenti nella scuola e nella università perché siano davvero istituzioni messe in grado di garantire inclusione e qualità e evitino una nuova gerarchizzazione delle professionalità che avviene per altri canali e sulla base non del decantato merito ma delle risorse dell’ambiente di provenienza.

Contrastare la concentrazione degli strumenti di informazione quasi per l’intero nelle mani di maggioranze politiche certo legittime ma comunque lontane dal rappresentare la maggioranza reale del Paese.

Ridare onore e senso all’art. 11 della Costituzione perché in quel «ripudia la guerra» comunque lo si voglia interpretare c’è un’indicazione etica e politica che non può essere radicalmente contraddetta.

Se si riparte da qui, da questa solida e realistica piattaforma di valori si potrà davvero pensare a una politica che torni ad attrarre e a chiamare all’impegno le migliori energie.