L'editoriale
Europa. Altro che radici cristiane
Vi ricordate? Una ventina di anni fa, fu istituita una commissione, presieduta da Giuliano Amato, per provare a definire una Costituzione europea. Si fece un gran parlare delle radici cristiane da scolpire alla base della nuova Carta. Alla fine non se ne fece nulla né delle radici, né della Costituzione. E meno male, se no l’ipocrisia avrebbe trionfato. Mi vado convincendo della necessità di una moratoria sull’uso delle grandi parole. Solo la muta pratica di buone virtù può ridarle un senso, oltre l’abuso linguistico. Come solo la pratica della giustizia può rendere autentica la preghiera. Rosari, presepi e crocefissi possono andare anche di traverso. Proprio in questi giorni abbiamo assistito all’ennesima tragedia del mare e alla successiva commedia fatta di dichiarazioni di buona volontà da parte dei vertici europei, insieme a quelle, per la verità più ignobili, del ministro degli interni italiano. Le storie di quei bambini, di quelle donne, di quei giovani uomini ci raccontano le ingiustizie del mondo: le guerre, i fondamentalismi, le depredazioni economiche, la schiavitù femminile, i bagordi di governi fantocci che succhiano il sangue dei popoli e dividono i profitti con i ricchi dei Paesi ricchi. E sempre più fortemente ci fanno avvertire l’assenza, o la marginalità, di forze e ideali che rendano praticabile un’alternativa all’economia che uccide, alla geopolitica cinica ed imperialistica, alla crescente anestesia della coscienza collettiva. Nulla si muove, di serio e concreto, rispetto all’accoglienza di chi fugge da guerre e violazione dei diritti umani e alle politiche migratorie, mentre si abbassa la guardia rispetto al dovere di salvare i disperati che attraversano il cimitero mediterraneo. Analogamente anche sulla guerra di aggressione russa in Ucraina, mentre la Nato assurge a vero e proprio soggetto politico, l’Europa non osa essere protagonista, neppure sul proprio territorio, di una realistica proposta di tregua e di una lungimirante politica di pace, che faccia avanzare l’idea di un mondo multipolare. Unico modo di coesistere pacificamente in una realtà internazionale profondamente cambiata. Molti interventi in questo numero di Rocca mettono a fuoco tali grandi questioni, schivando le quali, o strumentalizzandole, si fischietta o si soffia accanto ad un incendio che rischia di andare fuori controllo. E i cristiani? E le Chiese? Qualche tempo fa mi capitò tra le mani un bel testo di Gerard Lohfink dal titolo: «Per chi vale il discorso della montagna?» Il teologo tedesco rispondeva: per tutti i cristiani, non per una specifica categoria di asceti o di martiri. Vedere ancora benedire le armi dal patriarca ortodosso Kirill ma anche da vescovi cattolici ucraini, ci pone plasticamente di fronte l’essiccarsi delle radici cristiane dell’Europa. Ma quale ut unum sint affinché il mondo creda! Anzi, al di là delle posizioni espresse da Papa Francesco, sembra di assistere nelle Chiese, anche in quella cattolica, ad un pernicioso rinculo nazionalista. Ma il cristianesimo è per vocazione e natura «catholico», universale. Se perde questa connotazione si perde. Perde l’anima, che fa sì che in esso non ci sia né maschio né femmina, né ebreo né greco, né russo né ucraino come identità blindate e incomunicanti, ma sorelle e fratelli ricchi delle reciproche diversità, chiamati alla convivialità delle differenze. Ci sono momenti, e l’attuale è uno di quelli, nei quali ci si può sentire chiamati ad una maggiore fedeltà alla propria coscienza e alla propria fede. Dove possiamo incontrare Gesù? Non ci viene il dubbio che fosse in quella barca? La copertina di Giovanni Berti, con cui apriamo questo numero, ce lo dice in modo commovente ed efficace. Solo dopo la denuncia e l’impegno i cristiani possono e devono annunciare la speranza che sono chiamati a custodire. Prima di tutto per le vittime e gli afflitti, perché non potrà esserci vera giustizia senza la loro redenzione. Di fronte alle tragedie del presente un nostro grande amico, il Pastore Paolo Ricca, ha parlato di un drammatico fallimento del cristianesimo e delle Chiese. Altro che radici cristiane! Eppure esperienze di solidarietà e di impegno civile ci sono. Un piccolo resto tiene ancora accesa la lampada della speranza. Nel segno di una alternativa radicale alla violenza, al riarmo, all’economia che «mata» e che scarta. Siamo forse giunti ad un punto nel quale solo la profezia può dare alla buona politica quel supplemento d’anima di cui ha bisogno.