L'editoriale
Perugia andata e ritorno
Appena un anno fa sulle pagine della nostra rivista ospitammo un articolo che illustrava un’esperienza di inclusione sociale molto intelligente ed intensa nella città amata da quel grande apostolo della nonviolenza e della dignità soprattutto dei più fragili, che è stato Aldo Capitini. Si trattava della realizzazione di un Ristorante dalla autoironica denominazione Numero zero, caratterizzato dalla presenza, per oltre il 50% del personale, di pazienti psichiatrici, affiancati da professionisti della ristorazione e supervisionati da uno staff clinico. L’esperienza che, come viene dichiarato, mette al centro la persona con la sua fragilità e unicità e attraverso un tessuto di relazioni accompagna e cerca di vincere paure e pregiudizi, si colloca in un più ampio e articolato progetto di inclusione denominato Fondazione Città del sole.
Ci sembrò allora importante aprire uno spazio a questa bellissima opera di reale e innovativo governo dei più delicati processi sociali di un territorio, che ottenne il riconoscimento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, attraverso l’assegnazione del cavalierato dell’ordine al merito della Repubblica, alla direttrice del Ristorante Numero zero, la psicologa Vittoria Ferdinandi, per due ragioni.
La prima ragione si riferisce all’attenzione alle periferie esistenziali e sociali, che è da sempre nelle corde di Rocca e nella sensibilità della migliore tradizione cristiana convinta che non ci possa essere società giusta e progredita se non costruisce la propria fisionomia a partire dai luoghi del bisogno (che è poi il sugo della nostra Costituzione); la seconda riguarda il fatto che questa esperienza si colloca in una storia nazionale della quale Perugia, insieme a Trieste, Arezzo, Novara ed altre città, ha scritto una delle pagine più significative, con la messa in discussione dell’istituzione totale costituita dai manicomi, con la realizzazione delle case famiglia, con il dar vita ad attività laboratoriali, artigianali e commerciali di vario genere, attraverso cui restituire dignità e decoro a una umanità scartata e segregata. Rammento tra le altre il laboratorio di legatoria che nell’assisano fu gestito dalle sorelle brasiliane della comunità di Linda Bimbi. Ricordo anche figure chiave della psichiatria più volte presenti in Cittadella come Carlo Brutti e Carlo Manuali.
Una storia che collocò Perugia e l’Umbria tra le avanguardie di un forte movimento nazionale che portò a una grande stagione riformatrice, la più significativa dalla nascita della Repubblica, nel campo dei diritti sociali e civili: dalla riforma Basaglia, alla riforma sanitaria, allo Statuto dei diritti dei lavoratori, all’equo canone d’affitto, al nuovo diritto di famiglia, ecc.
In questi giorni Vittoria Ferdinandi, la direttrice di Numero zero, è stata scelta da un vasto campo di forze di centrosinistra (e questa è già una notizia) come candidata Sindaco di Perugia. È vero che c’è qualche incrinatura nel Pd (ma questa che notizia è?). La cosa ha avuto un certo rimbalzo nazionale. Michele Serra ne ha parlato sul Corriere della Sera (mica fischi!) e quindi anche a noi, rivista nazionale di lungo corso, tuttavia cucinata in Umbria,
sarà consentito di fare qualche riflessione. Anche perché molti soloni, benaltristi di lungo corso e sacerdoti della tradizione, aggrottano le ciglia e storcono il naso. Quelli che fanno più sensazione sono coloro che richiamano ad una selezione della classe dirigente che passi per il canale dei partiti, che sia frutto di un lungo allenamento nella militanza e di presenza nelle istituzioni.
Il problema è che nel tempo delle riforme a cui accennavo le istanze rinnovatrici e chi le incarnava erano tutte interne ai partiti democratici e alle rispettive aree culturali. Le forze politiche avevano una grande consistenza quantitativa e qualitativa. Oggi non è più così, spesso (purtroppo) i partiti sono gusci vuoti, secchi, infecondi e perciò ancor più abbarbicati nell’autoperpetrazione di piccole o grandi fette di potere.
Sono anni che non si riesce nemmeno a rifare del Senato e della Camera delle vere Assemblee elette dai cittadini. La scelta oligarchica dei senatori e dei deputati squinterna il sistema democratico e tende a svuotarlo. Ma nulla di coraggioso si muove per superare questa situazione. Attenti che di questo passo può farsi strada la scassellata ipotesi premierista. Ma torniamo a Perugia. Qui bisogna riconoscere che i partiti hanno compreso che oltre loro c’è di più, molto di più. Magari qualcuno avrà anche pensato che «Perugia val bene una messa!». E anche questo realismo può essere accettato. Il problema vero da capire, a Perugia come altrove in Italia, è che non basta il campo largo degli attuali stretti soggetti politici ma occorre allargare il campo del protagonismo politico a chi ne è distante, per sfiducia, disillusione, disinteresse.
È necessario ricominciare da qui. Non è detto che basti per avere successo, certo aiuterà la definizione di una identità rinnovata senza andare a prenderla in prestito dagli altri. In fondo anche la vittoria nazionale della destra ci ha parlato di questo.