L'editoriale
Elogio della moderazione
Attenzione, cari lettori, non del moderatismo. Che qui di moderati ce ne sono fin troppi. E di solito questa autodefinizione costituisce un elegante stratagemma per lasciare le cose come stanno o per cambiarle in peggio. Ma la moderazione è ben altra cosa, è uno stile, un portamento che non punta su effetti speciali, sulla demagogia, sull’uso fraudolento della parola. Spesso va a braccetto con la radicalità delle posizioni espresse in modo limpido e chiaro, con il rispetto che si deve all’interlocutore ma senza tendere a facili compromessi. La moderazione è anche un modo di resistere al fascino delle grandi parole, di sottrarsi alla suggestione di albe radiose. È un sognare sì ma ad occhi aperti stando con i piedi ben piantati per terra. È la capacità di porsi grandi obiettivi, coltivandoli con coerenza e realismo per renderli credibili. Anche con la disponibilità, se necessario, a metterli in discussione e con la pazienza di insistere, di attendere e, se del caso, ricominciare d’accapo.
La moderazione è un diffidare dai grandi affabulatori esercitando quella ragione appassionata di cui parlava Spinoza. È la consapevolezza che ci può essere l’uovo di serpente della disonestà intellettuale anche nelle narrazioni più avvincenti. È avere quindi il senso della misura, un metron che non da conto solo della quantità ma della qualità di persone e di relazioni. Kata metron, secondo misura, dicevano i classici greci, come contenimento del desiderio, della hybris, del disordine intellettuale e morale. Come rigore verso se stessi più ancora che verso gli altri.
Nella nostra redazione vi è chi è stato amico, chi ha conosciuto, chi ha incontrato Flavia Franzoni. La sua morte improvvisa lungo il cammino francescano verso Assisi con suo marito Romano Prodi ed altri amici ha molto colpito per questa ragione soprattutto. Flavia Franzoni era donna che aveva il senso della misura, dell’impegno civile senza riflettori, della fede senza orpelli e ostentazioni. Per una vita insieme a Romano Prodi ma senza rinunce alla propria autonomia e senza il palcoscenico del potere. Non era quel «fondale» da cui emerge il protagonismo maschile di cui ha parlato un noto cattoinfluencer (leggetevi gli articoli di Selene Zorzi e Emanuela Buccioni).
«Flavia» ha detto il cardinale Matteo Zuppi nell’omelia funebre, «mite lo è stata sempre, con quel radicalismo dolce che era la sua fermezza e che la coinvolgeva intimamente nelle vicende del prossimo. Amava i piccoli. Riservata in un mondo sguaiato, pieno di vanagloria (davvero vana), di penosa esibizione perché riduce l’amore alle apparenze, Flavia preferiva la sobria e solida vicinanza alla vita vera, partendo dai più fragili».
Per queste ragioni anche noi l’abbiamo sentita come parte dell’Italia migliore. L’Italia di chi non alza la voce per occupare i primi posti, ma si impegna ogni giorno ad alleggerire la vita di coloro che hanno più bisogno, di chi opera con la mente e con le mani per individuare e affrontare soluzioni realistiche ai problemi sociali che accrescono disagio e disuguaglianze sempre più scandalose, di chi pensa che etica e politica possano trovare punti di convergenza e che perfino gli affari debbano essere sottoposti a vincoli etici e legali e che gli spiriti animali del capitalismo, dell’egoismo, dell’egocentrismo debbano essere sottoposti al contegno e al bene comune. Pensate un pò lo aveva già in testa Tommaso d’Acquino che in parte lo aveva ripreso da Aristotele. E molto più da Gesù Cristo. Per i cristiani su questo non si può transigere senza ruinare.
Molti lettori, alcuni dei quali troverete nella rubrica delle lettere, ci hanno chiesto di prendere una posizione su Berlusconi e sulla sua eredità. Nel tempo di posizioni sul Cavaliere e sul berlusconismo ne abbiamo prese tante, come ben sapete. La distanza che ci separa dalla sua narrazione del mondo e della vita, dalle sue opere e dalle sue omissioni è consegnata agli ultimi trent’anni delle nostre pagine. In questo numero due dei più autorevoli collaboratori della nostra rivista, Raniero La Valle e Giannino Piana, esprimono, sine ira et studio, la loro opinione. Che è anche la nostra.