Angeli e demoni
Tante storie
Finalmente disponibile, per i caratteri di Carbonio Editore, con una ottima introduzione di Italo Alighiero Chiusano, e una bella, intensa traduzione di Eugenia Martinez, nella Versione Prima, la unica compiuta del 1935, è ora disponibile in lingua italiana, “Il Sortilegio”, di Hermann Broch.
Un primissimo consiglio al lettore: una lettura lenta, accurata: tempi dilatati, per comprendere appieno la atmosfera di questo Borgo Alpino, primi anni 30, dove vive una Comunità immota, fuori dal tempo, candida e forte della ancestrale tradizione montanara agricola, da tempi immemorabili (I Germani di Tacito? O ancora prima!).
Un medico di mezza Età è testimonio dell’arrivo di un individuo di poche parole, oscuro e isolato, che comincia ad infiltrarsi nei campi, tra i contadini, progressivamente, in un crescendo dilatato sempre più oscuro e tragico.
Penso che il nome del protagonista, per 200 pagine, presentato solo con rapidi cenni, sempre più cupi e inquietanti, sia stato suggerito, secondo me, alla larga, come reinterpretazione e adattamento di Benito Mussolini: Marius Ratti.
Egli ha origini Italiane; il nome latino è quello di un grande condottiero romano (i debiti evidenti del Regime alla riproposizione del Culto di Roma). Ratti allude ai topi. Allusione indiretta alle modeste origini del dittatore? Il processo di infiltrazione dal basso ricalca inoltre i primi anni e la strategia del giovane romagnolo, nel mondo del lavoro.
Contestualizzando la composizione di questa fascinosa lettura, in senso storico, siamo tra il 1933 e il 1935, la ascesa irrefrenabile del Fuhrer, ed il dilagare consolidato, del modello fascista, nel pieno degli Anni del Consenso, assecondando De Felice.
La “Vetrina” ufficiale di quegli anni, dopo la pacificazione con la Chiesa Cattolica, poteva esibire le memorabili imprese di Italo Balbo, a livello InterContinentale, I Trionfi Sportivi mondiali calcistici del ‘34 e ‘38, Il ricchissimo Medagliere alle Olimpiadi di Berlino del ‘36, l’Altisonante proclamazione dell’Impero, dello stesso anno.
Di tutte queste cose Hermann Broch era certamente spettatore informato; e il violentissimo e crudele neopaganesimo che si scatena negli ultimi capitoli rinvia in maniera evidente ad ascendenze incrociate romano/germaniche.
Ma sono fascinose, e di un fascino magnetico, le “apparentemente lunghe”, se non wagneriane, nel senso dilatatissime, descrizioni dei paesaggi alpini, nel succedersi delle stagioni, addirittura dei mesi: un ambiente dove lo scrittore soggiorna lungamente. Una sensibilità, una sensitività profonde, evocative e maliose.
Come pure la rassegna degli ancestrali archetipi della gente della montagna, di tutte le età e condizioni: un gruppo di caratteri fortissimi su cui forse si innalza, quello della anziana contadina, Madre Gisson.
Eppure, ciò che sembra la forza eterna di una comunità rurale inchiodata a stili di vita, lavoro e tradizioni senza tempo, oltre lo scorrere del tempo, diviene un durissimo e letale boomerang, un terreno fertilissimo su cui rivitalizzare antichi racconti, antiche favole e leggende, per ripresentarli nel lato più cupo, allucinante e devastante.
Questa bomba a orologeria esplode nella Festa Notturna paesana del 12mo capitolo, capolavoro di un crescendo “corale” che porta alla affermazione, quantomeno maggioritaria, delle forze del male, esemplificate in un lessico fruibile alle masse diabolicamente distorto, sostanzialmente vincente purtroppo.
I rimandi sarebbero infiniti: posso accennare che Broch ha avuto una prima parte della vita sovrapponibile a Italo Svevo; come lui ha conosciuto Freud e Joyce, e come lui è stato aiutato e incoraggiato da Joyce. Ratti, il malvagio, a me ricorda moltissimo Alberico della Tetralogia wagneriana, le miniere, l’oro, i nani (i Nibelunghi). Certi immensi squarci paesaggistici evocano la Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss, Anton Bruckner, o scenari di alcune sinfonie mahleriane.
Una lettura davvero appagante. A patto di comprendere l’assunto di partenza. Il Male non solo ci è vicino, ma coabita in noi: riconoscerlo onestamente, a cuore aperto forse non lo annulla. Ma certo lo indebolisce enormemente.
Concludo: per me una opera somma, certo da comprendere, in quanto “ad altissimo peso specifico”: ma, nell’Epilogo, con un messaggio consolatorio (forse la estrema illusione?). La Vita, la Nuova Vita, la Nuova Generazione potrebbe forse imparare dalla Vecchia. Imparare a scegliere. È un Salto nel Buio. Ma ne vale la pena.