Il Beat ed il Relativismo: l’Eccezione dei Fab Four

Che Spettacolo!

Alberto Maria Banti,
The Beatles: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band,
Carocci Editore, 2024, pp.169,
€ 17.00

Sul come scrivere di musica l’Autore non ha molti dubbi, e nemmeno il sottoscritto. Il Metodo è quello più corretto e completo: inquadrare l’evento da un punto di vista storico in diacronia e in sincronia, esaminarlo in particolare nel Post Quem per le influenze che ha avuto nell’Immediato e nel Dopo, determinando innovazioni che vengono documentate con precisione e chiarezza.

Pochi dischi come “Sgt. Pepper’s” hanno indicato il senso del concept album soprattutto nell’ambito del Rock europeo (italiano in primis, si pensi al Prog del Banco del Mutuo Soccorso e della PFM, ma anche a De André e Battiato) sulla scorta di quanto stava accadendo nella West Coast statunitense con i Jefferson Airplane ed i Grateful Dead e nel sorprendente Canada di Joni Mitchell e Neil Young.

“Sgt. Pepper’s” è la lettura del clima di cambiamento e di anticonformismo della fine degli anni 60 con un lavoro in sala d’incisione decisamente estenuante, creativo come mai era accaduto nei dischi precedenti, in verità alquanto vicini al Pop, un Pop di qualità s’intende, fatta eccezione per qualche battuta rockeggiante e meno “giovanile” dal lato testuale, allo scopo di esprimere temi più introspettivi, autobiografici e metafisici. Diciamolo: meno banali, come visibile nella storica front cover, collage pop art delle Icone scelte dai Fab Four. Tra loro Einstein, Marx, Poe, il guru Paramahansa Yogananda, Lenny Bruce, Marlon Brando, e nella back i testi, novità assoluta a memoria del Futuro.

Una produzione senza precedenti, insomma, sia dal punto di vista estetico sia da quello contenutistico. Psichedelia, accostamento alle filosofie orientali, il diagramma “love & peace” delle comunità hippie di San Francisco e Los Angeles così lontano da Carnaby Street e dalle sue mise à la page, guardando piuttosto ai segni esistenzialisti delle iniziative di “Ken Kesey, organizzatore degli Acid Tests (i concerti a base di nuovo rock e di LSD)”, alla bulimia lisergica della Beat Generation, quale “ponte tra due mondi, elaborazione culturale e musicale britannica e fioritura della controcultura giovanile negli States”. Qualcosa di simile accadrà nei circoli del Greenwich Village di New York per il Jazz e nell’Europa del Nord per la Neoclassica, tuttora nicchie per pochi, a dirla con Roland Barthes un “grado zero” di una popular music i cui segni estetici dalla Swinging London libertaria e pre-punk passeranno all’Occidente come reclamo del vivere la piena contraddizione del proprio tempo con immagini ed un lessico musicale come diritto naturale del presente sul passato.