Romena, un porto di terra

don Luigi Verdi (a sinistra) con fratel Arturo Paoli (a destra)

Conversazione con Luigi Verdi

Saliamo verso la Consuma, 1050 metri sul livello del mare, una frazione fra Firenze e la provincia di Arezzo, dove spesso si recava Giorgio La Pira, l’indimenticabile sindaco di Firenze. Attraversiamo l’incantevole foresta casentinese di Vallombrosa, alle pendici del Pratomagno, dove ci sono gli alberi più alti d’Italia. Passata la Consuma appare davanti a noi una valle ricca di natura, boschi, prati, dove si scorge il castello medievale di Poppi e di fronte, quasi a guardarsi, le maestose rovine del castello di Romena. Ma continuando non possiamo non notare la splendida Pieve romanica di Romena, e qui in questo luogo colmo di storia, di arte incontriamo don Luigi Verdi, con il suo immancabile sigaro in mano, fondatore e responsabile della Fraternità di Romena.

Ciao Gigi, ci puoi raccontare chi è don Luigi Verdi?

Sono una persona semplice che ha creduto in un sogno. Sono nato a San Giovanni Valdarno il 6 marzo 1958 da una bella famiglia molto genuina. Sempre preso dalla timidezza, ho provato a darmi da fare come tutti i ragazzi di quel tempo: scuola, amici, giochi, sport e… facevo il “postino” per distribuire il giornale “L’Unità” all’epoca in voga negli ambienti di sinistra. Dopo essere diventato prete fui inviato a Pratovecchio, in Casentino, a fare il Vicario Parrocchiale e stare con i giovani. Nel 1989 arrivò la crisi che mi portò ad andare in giro un anno in tre posti formativi per me: in un bar per servire caffè alla gente della notte; in Bolivia per fare un’esperienza con i più poveri; e infine nel deserto algerino di Tamanrasset sulle orme di Charles de Foucauld. Quando tornai chiesi al mio Vescovo, Mons. Giovannetti, di stabilirmi nella Pieve di Romena per provare a dare una mano alle persone che attraversavano una crisi. Era la Pasquetta del 1991, e da allora, il mio sogno di una fraternità accogliente e capace di accompagnare chi vive una crisi, si è fatto concreto in questa realtà di Romena e dintorni. Sono un amante della bellezza: è quello che trovo qui nella Pieve e nell’ambiente circostante. La bellezza è tanta qui, non me la merito: e così diventa condivisione per tutti i pellegrini che arrivano. La Pieve è del 1152 e, stando sulla via Francigena, è da sempre stata luogo di accoglienza e protezione per i viandanti di tutti i tempi. Romena è un luogo di passaggio, di pellegrinaggio: come diciamo noi, è un porto di terra!

Ci puoi raccontare la tua vocazione? Cos’è per te la fede?

Vivevo parte del mio tempo nell’Oratorio della mia parrocchia e fui attratto dalla figura del prete che stava sempre con noi ragazzi, don Giovanni Sassolini. Guardando a lui, e sentendo dentro di me qualcosa che mi chiamava ad aiutare gli altri, soprattutto i più fragili e indifesi come me, cominciai a capire che quella poteva essere la mia strada. Una vocazione è sempre unica: diceva p. Giovanni Vannucci, dei Servi di Maria nell’eremo di San Pietro nel Chianti, che “ognuno è una Parola unica che Dio ha detto e che non tornerà a dire più”. Per questo ho sempre vissuto la mia vocazione con tanto amore e originalità: non mi sentivo di fare come gli altri, di copiare. Ho sempre cercato vie nuove, pensieri e liturgie nuove, capaci di arrivare dritti al cuore della gente. Perché la vera vocazione è il cuore delle persone che incontro, che mi chiama, mi interpella, mi mette in discussione e mi apre all’accoglienza. Per me la fede è vocazione alla fiducia, è, come diceva San Giovanni della Croce, “camminare al buio”. P. Vannucci e Giorgio La Pira mi hanno insegnato a cercare un luogo “dove Dio e l’uomo possano riposare”, uno sulla spalla dell’altro: la Pieve e la fraternità di Romena vorrei diventassero questo luogo di riposo con Dio. Fede come abbandono fiducioso ma anche come fiducia nella Provvidenza che per me si concretizza quando sento di non farcela più e, aprendomi all’inatteso, appare qualcosa o qualcuno che porta avanti quanto sento di poter fare, e mi aiuta a concretizzare quello che mi chiama nella vita. È fiducia nell’inedito, perché siamo in processo, come diceva il mio amico Carlo Molari.

Romena, luogo dell’ascolto, dell’accoglienza, della meraviglia, del silenzio, della pace. Qui a Romena ci si stupisce. Oggi siamo ancora in grado di stupirci?

Lo stupore è proprio dei bambini e degli innamorati: i nostri tempi rischiano di spegnere questo stupore in noi e attorno a noi. A Romena vogliamo sia la bellezza, la pace, il silenzio, lo stare insieme a creare stupore: immersi come siamo in una natura stupenda, quella del Casentino, vogliamo diventare come la natura stessa ci insegna, nella lentezza di ogni cambiamento e rinnovamento. Naturalmente questo accade se siamo pronti ad accogliere tutto ciò che la vita ci offre e ci dona, anche i momenti difficili e pesanti. Per questo l’accoglienza a Romena, vissuta senza giudizio, nell’apertura e nel cogliere ogni opportunità, viene vissuta senza personalismi, senza gerarchie né ruoli: non voglio che si venga qui a cercare dei “guru”. Lo stupore ci coglie quando ci batte il cuore, quando lasciamo che l’emozione si esprima e diventa comunione con tutti coloro che passano e si incontrano.

Nel nostro mondo c’è poco silenzio, ma tanta solitudine che non aiuta a stare bene da soli. Come dovrebbe cambiare la nostra vita?

C’è poco silenzio perché il nostro “io” è esagerato. L’“io” è preoccupato di sé, gli altri mi devono capire, io devo apparire, farmi riconoscere, apprezzare. Noi non dobbiamo seguire l’“io” prepotente, dobbiamo seguire la scia di luce che il silenzio può creare. L’“io” può essere spiazzato solo quando siamo capaci di restare soli: allora la solitudine non è sopportata, ma scelta come trasformazione che parte da dentro di noi. Qui a Romena vogliamo che la gente si possa sentire a casa, in una solitudine abitata. Abbiamo una grande responsabilità: vengono tante persone disorientate, che hanno tanto dolore e ricercano senso. Il nostro esserci è quello dove al posto delle parole c’è il silenzio. Quando arrivi in questa bellezza totale di Pieve e natura, non c’è più bisogno di parole. Questo luogo già parla di suo. Siamo qui perché abbiamo intuito qualcosa. Dobbiamo aiutare le persone a stare nel silenzio. E sussurrare la chiave di ogni rinascita: “Ascòltati”. Noi non vogliamo convertire le anime, ma aiutare le persone a riconciliarsi con la vita. Per questo, quando qualcuno arriva, prima chiedo si faccia in concreto qualcosa, ci si stanchi, poi magari si parla.

Le guerre imperversano sempre di più in ogni angolo di questa martoriata terra, c’è una terza guerra mondiale a pezzi, come dice papa Francesco. Cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo? Quello che stiamo vivendo, egoismo, prepotenza, soprusi è il contrario dello spirito di Romena. Perché?

Perché tutti vogliamo troppo “possedere”: Romena ci insegna il vuoto, la povertà, la leggerezza. Le persone che arrivano non sono “nostre”: sono cammini che passano e ci cambiano, che ci trasformano nel loro trasformare sé stessi. La povertà non è tanto di beni o cose, ma di legami e di intrecci che ci comprano, come facevano “gli idoli” nella Bibbia. La povertà ti permette di non essere in vendita, di non essere manipolabile, libero soprattutto pensando di lasciare una casa a chi verrà dopo di noi. La nostra amica Antonietta Potente ci ha detto: “Il cristianesimo ha perso l’amore e ci ha messo la carità. Se devo fare la carità divento cattivo, perché poi mi stanco. Se partiamo dall’interiorità questo luogo acquista in bellezza. Romena non è un luogo di servizi. Può solo accogliere. Prestare servizio stanca, prestare servizio ci rende possessori. Nessuno deve comandare”. Questo ci rende più liberi e leggeri: è il contagio del nostro “trasformarsi” che coinvolge tanti altri.

Papa Francesco con grande difficoltà cerca di rinnovare la Chiesa, di renderla più evangelica, più umana, più accogliente, una Chiesa in uscita. Che giudizio dai del suo pontificato?

Appena Papa Francesco si presentò al mondo, sentii aria fresca, di finestre aperte: parlò di tenerezza che a Romena è un motivo che cerchiamo di vivere ogni attimo, fin dai primi momenti che mi stabilii qui. Poi mi colpì la sua espressione: “chi sono io per giudicare?”. E infine quello che disse un giorno: “A un Dio umile non ci si abitua mai!”. Quando lo vedo o lo ascolto, mi ritrovo spesso ad asciugarmi qualche lacrima, le sue parole mi toccano e mi smuovono dal di dentro. Soprattutto mi colpiscono i suoi gesti: anche a Romena le parole più intense sono i gesti che condividiamo tra noi e con le persone che vivono i nostri percorsi. E’ un uomo, papa Francesco, di grande spessore e intelligenza emotiva, un babbo che sentiamo finalmente dalla nostra parte, un papà.

Prima di concludere mi piacerebbe parlare di don Lorenzo Milani. Centenario della nascita, tanti dibattiti, tanti libri, tante troppe parole…Chi è stato per te il priore di Barbiana?

Vivendo qui vicino al Mugello e a Barbiana, don Milani è sempre stato un punto di riferimento per me; in quest’anno a Romena abbiamo voluto dedicare a don Lorenzo alcuni nostri convegni e incontri. Per me il priore di Barbiana è molto attuale per il coraggio, l’autenticità e l’impegno circa l’emergenza educativa che oggi più di ieri sentiamo urgente. Don Lorenzo ci insegna che ogni ragazzo e ragazza sono una lavagna bianca su cui poter scrivere di tutto. Ma i responsabili siamo noi adulti. E allora diventa vero quello che dice Eraldo Affinati: “Dietro ogni adolescente, dietro ogni ragazzo difficile, c’è sempre una bellezza, un tesoro, una motivazione che noi dobbiamo però scoprire. Dobbiamo accendere un fuoco dentro i nostri ragazzi per farlo divampare”. Don Lorenzo si è impegnato per accendere il fuoco nei suoi allievi, rendendoli liberi e autonomi, capaci di cavarsela nel mondo difficile di oggi. Sì, perché non sono difficili i ragazzi, ma difficili siamo noi adulti. Diventa vero allora quanto dice il nostro amico Pier Luigi Ricci (Pigi): “Aver cura di noi per aver cura di loro, dei ragazzi”. Tanta gente passa per Romena dopo aver fatto visita a Barbiana. E ci riferiscono di come gli ex alunni di don Lorenzo accolgono di cuore e raccontano una storia, del priore e dei suoi ragazzi, ancora viva ed attuale. Ecco, la vita di don Lorenzo continua a raccontare ed emozionare grazie ai suoi giovani che ancora oggi ci testimoniano un periodo fecondo della nostra storia. D’altra parte, la primavera fiorentina di Balducci, Milani, Dalla Costa, Vannucci, Turoldo e La Pira sta germogliando oggi partendo dalla freschezza che ci ha donato il Concilio Vaticano II° vero frutto di quegli anni meravigliosi.

Grazie di cuore don Gigi