Quell’altra diplomazia

In cosa consiste esattamente la missione che Papa Francesco ha affidato al card. Zuppi? Ovvero quali sono le carte che ha in mano? Quale mandato? E a chi si rivolge? “Occorre cominciare almeno un dialogo esplorativo – aveva spiegato il cardinale a margine della cerimonia di inaugurazione dell’Università Roma Tre – altrimenti il rischio del nucleare diventa incombente. Speriamo che la diplomazia e le istituzioni percorrano la via, non facile, del dialogo”.

E quindi la prima e significativa tappa della missione è riaprire la strada del dialogo. Non è la lotteria della pace immediata e nemmeno la firma di un trattato di pace che in questo momento non trova alcun lembo a cui aggrapparsi quanto un dialogo, un corridoio stretto, un filo tenue che non lasci la parola ultima ai rombi di guerra. È il segnale che andava offerto per smarcarsi dall’escalation che è iniziata con l’offerta di armi leggere ed è giunta ai carri armati e agli F16 di ultima generazione che possono trasportare armamento nucleare; che non prevedeva un coinvolgimento di altre nazioni e che arriva oggi a utilizzare l’intelligence e la preparazione militare e strategica nelle nostre caserme come di altri siti Nato.

E allora ben venga questa tenue speranza senza tener conto delle dichiarazioni di Zelensky all’uscita dal suo incontro con Francesco che sono il risultato calcolato di un atteggiamento tattico, tipico di chi non vuol dare nemmeno lontanamente la sensazione di un barlume di resa. Potete scommetterci che in quel colloquio si sia già parlato della decisione del Papa! Così come è stato soppesato scrupolosamente di non affidare l’incarico all’apparato diplomatico di accademia ma all’esperienza della diplomazia dal basso che è forte del Vangelo di Cristo che è tutt’altro che estraneo al diritto internazionale. E Zuppi sembra avere le idee chiare: “Il dialogo non è mai cancellare le responsabilità” – aveva già puntualizzato. E poi: – “C’è bisogno di pace e di giustizia, noi lavoriamo per questo. Se pensiamo che il dialogo e il cessate il fuoco significhino annullare le responsabilità, non c’è altro che la guerra”. In occasione dell’incontro “Le armi nucleari e l’Italia. Che fare?” aveva detto che è necessario lavorare alacremente affinché “si aprano spazi di pace” e si cerchi “una via del dialogo”. Dunque, il dia-logare sembra essere l’architrave di uno stile di chiesa e di vita che il presidente della Cei mostra di aver sposato da sempre. È lo strumento che gli ha consentito di sciogliere, anche nel passato, qualche nodo che sembrava inestricabile. Per quanto riguarda la guerra in corso in Ucraina è facile comprendere che non si può sperare in un vero e proprio dialogo se prima non ci si pone in atteggiamento di ascolto attento, profondo, sincero, senza pregiudizi e precomprensioni. Un ascolto oggi compromesso dal rumore delle armi e dalle sofferenze che generano, ma necessario, anzi indispensabile. Niente di peggio che un dialogo tra sordi! Per questo auguriamo al cardinale di tendere l’orecchio, soprattutto quello del cuore, per ascoltare anche le ragioni non espresse, la storia, i vissuti e gli intrighi che oggi costringono quei contendenti a turarsi le orecchie.