1° maggio. Non c’è festa senza pace e lavoro dignitoso

C’è un lungo periodo della vita di Gesù che rimane fuori dai racconti che abbiamo nel canone del Nuovo Testamento, quel periodo che Charles de Foucauld definiva la vita nascosta di Gesù, i primi trent’anni della sua esistenza, quasi tutta la sua vita, in una famiglia che guadagnava il pane col sudore della fronte. Trent’anni di lavoro ordinario, di linguaggio semplice e diretto, di comprensione dei dolori e delle gioie umane, di scoperta dei soprusi dei potenti, delle ipocrisie dei pii, a confronto dei quali la fragilità dei peccatori patentati gli è via via parsa più redimibile.

Questo è stato l’apprendistato umano che ha fatto di Gesù l’ecce homo in cui anche Pier Paolo Pasolini riconosceva l’umanissima divinità. Gesù è stato fedele alla terra. Una terra data in comodato d’uso alle donne e agli uomini di ogni tempo dalle donne e gli uomini dei tempi a venire, e a cui essi si relazionano attraverso il lavoro. È questo che li rende partner di Dio, custodi della creazione (la creazione continua? si domandano quest’anno, sin dal titolo, gli amici convegnisti di Cefalù?). Il lavoro umano è il tempo del riposo di Dio, del suo lasciare spazio e responsabilità. Nel lavoro la natura si umanizza e l’uomo si naturalizza, come ha ben compreso il pensiero moderno. Ma quale lavoro?

Non certo il lavoro neoservile che osserviamo ogni giorno, esposto ai rischi, alle irregolarità che producono morti, all’arbitrio del licenziamento facile, alla estrema precarietà, alla povertà determinata da bassi salari o quello che rende mere appendici della macchina. No, non questo, bensì il lavoro che esce dalla dialettica servo/signore portando a sintesi la libertà del signore e l’operosità del servo, sicché libertà e lavoro possano coesistere e ci sia libertà attraverso il lavoro e lavoro libero dall’alienazione di sé. È la storia di secoli di lotte per costruire l’umanità nova. In esse leggiamo una delle pagine più alte scritte dall’umanità per alleggerire il mondo dalle ingiustizie. Non sembri eccessivo cogliere nel cristianesimo (diffusore del veleno dell’uguaglianza, secondo il celebre aforisma nietzschiano) la radice di questo processo. Ricordate il biglietto di Paolo a Filemone quando rimanda Onesimo al suo padrone, pregandolo di accoglierlo come fratello? Non era il superamento politico della schiavitù ma certo l’ascia era ormai posta alla radice.

Nel 1949 comincia qui da noi l’avventura del Gesù divino lavoratore dell’Osservatorio cristiano della Cittadella. Essa ha al centro la bellezza e il lavoro quando si incontrano nella dignità.

Il primo gennaio del ’48 era entrata in vigore la Costituzione. Articolo 1: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Il lavoro come fondamento della democrazia e della Repubblica: un impegno, un’indicazione solenne, purtroppo non sempre mantenuti. E all’articolo 3: «(…) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Non solo centralità del lavoro ma anche di un lavoro dignitoso che umanizzi le persone rendendole sempre più libere nel pensiero e nella vita e sempre più uguali nei diritti e nei doveri. L’obiettivo dichiarato è quello che i lavoratori partecipino attivamente al governo della polis comune. Si sente, nell’impianto costituzionale, un fecondo incontro di culture diverse e in particolare di quelle legate al movimento operaio nelle sue diverse articolazioni e al cattolicesimo democratico in tutte le sue sensibilità. Non sarebbe una cattiva idea, mentre sono in corso rapidi cambiamenti politici e culturali che spesso divorano diritti e conquiste e tendono scientemente a rimuovere i vincoli della Costituzione nata dalla Resistenza, coltivare questa eredità, certo innovandola ma non abbandonandone quel nocciolo duro che sta nell’ancorare il governo del Paese all’interesse generale. Esso è tale solo se parte dalla difesa dei diritti delle componenti più fragili della società, di quelle periferie sociali ed esistenziali a cui inascoltato fa riferimento papa Francesco e che sta dentro quel mandato a rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza e al pieno sviluppo della persona umana di cui dice la Carta.

All’inizio il tema dell’Osservatorio della Cittadella era denominato Gesù operaio e non suonava male. Sottolineava la stagione della trasformazione industriale italiana, la dignità e l’importanza del lavoro umile e tuttavia non banale, della fatica che richiede coltivare il mondo, rispettare e trasformare la natura, vigilare sulla destinazione universale dei beni della terra, apportare, se è consentito parafrasare, tanto più in quest’oggi così cruento, Aldo Capitini, una libera aggiunta di bellezza al pianeta misterioso. Le guerre in corso vicino e lontano da noi distruggono vite e lavoro. La bandiera della pace non è altra da quella del lavoro. Il riarmo generalizzato e la guerra nel mentre uccidono, mutilano e affamano peraltro sempre più popolazione civile e soprattutto bambini, divorano senza risparmio risorse che potrebbero e dovrebbero essere destinata alla salute, alla cura, alla protezione, all’istruzione. La guerra è sempre più guerra contro i lavoratori e la parte più povera della società. La pace è difficile ma la guerra è inaccettabile. Dunque bisogna pensare, anche come Europa, un nuovo paradigma che garantisca la sicurezza e la difesa oltre il fallimentare e reiterato criterio del si vis pacem para bellum. È difficile? Altroché, ma è una sfida ineludibile, oserei dire soprattutto per i cristiani, se tali vogliono provare ad essere al di là delle chiacchiere.

Nel lavoro c’è qualcosa del dono di ciascuno di noi alla vita comune, al bene comune, alla pace, nel cui quadro soltanto, essi hanno senso.

Certo cambiano le forme del lavoro, oggi si parla di una quarta rivoluzione industriale, sempre più immateriale, digitale, robotica (e comunque stiamo attenti, quando affermiamo questo, a renderci conto che non tutto il mondo può esser letto con una sola lente). In ogni caso antichi lavori si perdono e ne sorgono di nuovi, aprendo problemi drammatici anche nelle nostre società dove, per la prima volta, le generazioni giovani rischiano di fare un passo indietro in termini di occupazione, di protezione sociale e di diritti rispetto a quelle che le hanno precedute. Il grande tema è già oggi e sarà sempre più nel futuro prossimo come dividere il lavoro, il pane e la libertà, come fare dell’intelligenza artificiale che consente di risparmiare lavoro un elemento di liberazione per tutti e non una nuova e più radicale divisione tra sommersi e salvati. Insomma si ripropone la grande scelta tra solidarietà e barbarie. E da che parte stare riguarderà la coscienza di ognuno.