Per un piano del lavoro e della sicurezza

Prima di tutto la nostra vicinanza alle popolazioni alluvionate dell’Emilia Romagna, alla loro sofferenza, alla loro resistenza, alla loro volontà di rialzarsi. Un pensiero alle vittime di questi tragici eventi. E una copertina alle più profonde meraviglie italiane: il volontariato, la solidarietà, il protagonismo delle giovani generazioni.

Queste ragazze e questi giovani rendono bello il nostro Paese anche in mezzo al fango.

Ci sarà tempo per approfondire il dibattito sulle responsabilità umane riguardo all’effetto e, in qualche misura, anche alle cause di questi eventi atmosferici. Ora è il momento di far fronte all’emergenza.

D’altra parte il rapporto uomo/natura è un tema che ha attraversato una riflessione millenaria. Il pensiero umano: filosofico, teologico, scientifico ha battuto la testa da sempre su questo tema. Sul quale, pertanto, non sono ammesse semplificazioni. Il dolente realismo leopardiano ha forse detto parole definitive su questo. La natura non basta contemplarla, bisogna comprenderla e per quanto possibile contenerla. Ma la hybris umana deve ogni volta trovare un terremoto, un virus, un monzone che le ricorda il suo limite.

Certo che questo non può comportare alcuna deresponsabilizzazione. Al contrario dovrebbe essere chiaro che la cura dell’ambiente, il contrasto al riscaldamento climatico, il governo del territorio che lo risparmi da un consumo aggressivo ma anche nuove opere di contenimento, di regimazione e soprattutto una permanente manutenzione, sono scelte non più rinviabili.

Bisogna sempre tener presente, inoltre, che i processi economici sviluppatisi nei decenni scorsi hanno modificato in modo rilevante la dislocazione demografica del nostro Paese, l’abbandono della campagna, lo sviluppo delle attività produttive e delle reti infrastrutturali nelle pianure e l’inurbamento massiccio della popolazione ha determinato una antropizzazione spesso disordinata, ingovernata o governata da interessi speculativi.  Non è certo l’Emilia Romagna a portare la maglia nera di questi processi. Chi lo afferma coglie questa occasione non per riflettere ma per speculare.

 Ad ogni modo vi è senza dubbio l’urgenza di una transizione ecologica, ma non basta la parola come nell’antica pubblicità. Pensare all’ecologia senza mettere in discussione gli spiriti animali del capitalismo è fare giardinaggio. Ce lo spiega bene la Laudato sì. Ecologia integrale vuol dire immaginare un ambientalismo rivoluzionario che richiede passione e competenza, un pizzico di utopia e molto realismo politico.

La stoffa della realtà effettuale, ci insegna Machiavelli, è fatta di virtù e fortuna. E ce lo rappresenta proprio con l’esempio della piena. Essa sta a dirci l’elemento imprevedibile, sempre presente in diversi fenomeni naturali (e talvolta anche umani per la verità). È la fortuna, la sorte. Quel che può e deve fare la virtù, cioè l’intelligenza umana applicata alla cura dell’ambiente di vita, la buona politica si potrebbe dire, è costruire nel fiume, lungo il tempo ordinario, argini alti e solidi che evitino o contengano i danni. E avere poi la pazienza, diremmo oggi, di curarli con perseveranza quando l’occhio dei media non vede e non diffonde.

Dentro le diverse e sempre più intense e ripetute “piene” del presente c’è un messaggio da cogliere che riguarda la necessità di immaginare un modello di sviluppo radicalmente diverso, capace di uscire dal binomio dogmatico crescita/consumo e che ricollochi il rapporto tra gli uomini e quello degli uomini con la natura fuori dalla pura logica della mercificazione.

Intanto, non sarebbe male, battersi da subito per un piano volto a mettere in sicurezza il più possibile il nostro Paese, che potrebbe costituire un lavoro di cittadinanza, in grado di aprire un’ampia possibilità di buona e utilissima occupazione.