L’attesa e l’impegno

In questo numero troverete un bel Forum sulla spiritualità. Essa segue a precedenti interventi di padre Bernardo Gianni, di Guidalberto Bormolini, di Enzo Bianchi e sarà seguita da altre persone ed esperienze che, nella loro diversità, costituiscono il pluriverso della spiritualità contemporanea. In questa direzioni ci sono pervenuti tanti suggerimenti e incoraggiamenti da parte di lettrici e lettori antichi e nuovi della nostra rivista. Bisogna interrogarsi su cosa questo interesse significhi. E una cosa certamente non significa per Rocca e i suoi lettori: la disattenzione per le dinamiche che riguardano la vita della e nella polis, tanto più in un momento drammatico, nel quale, molte situazioni, a cominciare da quelle belliche, tendono ad andare fuori controllo e i fenomeni di marginalizzazione sociale producono disuguaglianze che fanno tornare indietro di decenni. Quindi niente disimpegno sociale e politico. Il dibattito avviato sui diritti sociali e civili, a cominciare dal lavoro e dalla sua dignità, contro la forte spinta a renderlo sempre più precario e ricattabile, come ci fa vedere l’articolo di Pandolfi; il diritto universale alla salute e alla cura (a proposito perché non pensare ad uno sciopero generale su questo punto decisivo del welfare); la difesa della scuola e della ricerca come essenziali elementi di garanzia dell’affermazione di una cittadinanza critica e attiva di cui abbiamo parlato ricordando la formidabile lezione di don Milani; lo sguardo attento ed anche il contributo ad una discussione sui caratteri di soggetti politici democratici e costituzionalmente orientati su cui interviene Stefano Fassina, restano altrettanti terreni di discussione e di indagine critica propri di questo giornale. Così come l’attenzione ai processi internazionali, caratterizzati da una fortissima spinta riarmista e dal ritorno esplicito di una logica che vede nella guerra la sola strada per risolvere le controversie tra Paesi e tra blocchi. In questo numero Gaiardoni ci fa vedere, altresì, quali potentissimi interessi economici e finanziari stiano dietro alla crisi climatica ed ambientale. Noi vogliamo continuare ad essere, nel nostro piccolo, coltivatori di un pensiero e di pratiche che rendano non solo desiderabile ma anche realisticamente perseguibile un’altra idea di sviluppo sociale, un modello altro di relazioni, una diversa gerarchia di interessi e di valori. E ci ostiniamo a pensare che sia doveroso e possibile battersi per un’alternativa etica e politica ai processi che attualmente dominano il contesto nazionale e gran parte di quello internazionale. Naturalmente non ci nascondiamo le difficoltà. Abbiamo promosso, nell’ambito di una serie di incontri rocchigiani, un dialogo con Massimo Cacciari, di cui daremo conto nei prossimi numeri, a partire da Sergio Quinzio, il cui pensiero immunizza da ogni facile ottimismo ma tende a radicare nel cuore dei credenti una speranza nell’ultima parola del Signore che ha il sapore della terra. («Cieli nuovi e terra nuova» 2 Pt 3,13). Siamo convinti che la dimensione dell’attesa debba comunque trovarci perseveranti nell’attendere al nostro compito di uomini e di cristiani capaci, almeno in parte, di riconoscere Lui in chi ha fame, ha sete, è nudo e via leggendo il capitolo 25 dell’Evangelo di Matteo. Tornando al punto da cui si è partiti: perché l’interesse verso una spiritualità che non sia né per eroi della virtù, né per specialisti, né per anime volanti leggere nell’etere? Perché, c’è da ritenere che, nella precipitazione della parola in chiacchiera che contraddistingue tanti ambiti nella nostra epoca, si faccia urgente un suo autentico radicamento nel silenzio, nella riflessione, nell’ascolto, nella meditazione, nell’abitare una dimensione interiore capace di rendere davvero fecondo il confronto con gli altri, sensate le nostre parole, credibili e fondati i nostri pensieri, penetrante il nostro modo di leggere e interpretare la realtà. Una spiritualità del quotidiano che sia il contrario della fuga mundi ma anzi un modo nuovo di stare al mondo che provi a sottrarsi ai processi di mercificazione di tutti rapporti destinati ad essere, altrimenti, l’estremo epilogo di una società centrata sul profitto, sul potere fine a se stesso, sul consumo, grande o piccolo che sia, realtà o desiderio che possa essere, che consuma ogni relazione umana e naturale. In questo senso la spiritualità su cui ci stiamo confrontando non è un estremo rifugio religioso ma un percorso di umanizzazione che non riguarda solo i credenti.