L'intervista
La strategia del colibrì
Etica e politiche per affrontare la crisi climatica
Conversazione con Rossella Muroni
Più che un campanello d’allarme, è un’emergenza conclamata. I primi di luglio per la prima volta la temperatura media della Terra ha superato più volte la fatidica soglia dei 17 gradi. Secondo il rapporto “Troppa o troppo poca: l’acqua in Italia in un clima che cambia”, appena presentato dal network Italy For Climate (IFC) per lo sviluppo sostenibile in partnership con Enea, Ispra ed Rse, se le temperature continueranno ad aumentare, presto solo il 18% di tutte le stazioni sciistiche dell’arco alpino italiano avrà una copertura naturale idonea a garantire la stagione turistica invernale: il Trentino ne perderebbe un terzo, mentre il Friuli addirittura dovrebbe chiudere al turismo. A meno di non ricorrere agli energivori cannoni sparaneve e a inquinanti additivi chimici per conservare il manto nevoso artificiale.
È l’ultimo anello di una catena che imprigiona un paese fragile come l’Italia in una galera emergenziale fatta di siccità e alluvioni, trombe d’aria e frane, bombe d’acqua e smottamenti. E nel frattempo l’inquinamento provoca 50 mila morti premature l’anno (in Europa 300 mila).
L’opinione pubblica è sconcertata di fronte all’alternarsi improvviso di situazione estreme e opposte. Fatalismo, cinismo e apatia sono sempre più diffusi. Quando invece, per adattarci alla crisi climatica e cercare di mitigarne le conseguenze, dovremmo tutti attrezzarci per convivere quotidianamente con una delicata complessità, che richiede conoscenza, adattabilità e capacità di intervento.
Rossella Muroni combatte da una vita la battaglia per l’ambiente. Le chiediamo se a mancare, prima ancora degli investimenti e della pianificazione, non sia la formazione di una vera consapevolezza diffusa.
«Purtroppo, non esiste ancora una cultura ambientale che ci consenta di vivere il sistema come un ecosistema. Alluvioni e siccità non sono emergenze casuali, ma naturali conseguenze di una crisi climatica ormai dirompente, di una drammatica rottura degli equilibri. Ci vorrebbe una risposta sistemica, e invece si sprecano tempo e risorse per mettere ogni volta una pezza, per rincorrere i buoi dopo che sono scappati. Si continua a costruire troppo, a cementificare il territorio, e i fiumi non vengono curati con regolarità. Dopo il disastro della Romagna, si fa un gran parlare di invasi di stoccaggio e contenimento dell’acqua. Opere che senz’altro hanno una funzione importante, ma che non devono essere considerate come l’unica soluzione per recuperare un equilibrio idrico. Nessuno sembra considerare il fatto che, in un Paese come il nostro, caratterizzato da vaste aree un tempo paludose, imprigionare grandi quantità d’acqua stagnante potrebbe creare cambiamenti microclimatici importanti per la biodiversità e la salubrità dell’ambiente».
Secondo lei il governo Meloni ha preso in carico con attenzione e tempestività la questione ambientale, adottando risposte strutturali?
«Il governo Meloni, come tutti i governi di destra, è negazionista. La realtà è questa. Così come è vero anche che i governi precedenti, pur di fronte all’urgenza delle questioni ambientali, sono stati attendisti. Le responsabilità vanno equamente distribuite. Da quindici anni stiamo attendendo una legge sul consumo di suolo… Purtroppo, ancora una volta la classe dirigente italiana si sta dimostrando gravemente impreparata. E la colpa non è solo della politica, ma anche dell’informazione, specie quella televisiva, che tratta ogni cosa con superficialità: in prima serata vanno sempre i soliti talkshow, chiacchiere e schiamazzi che sono puro intrattenimento, non producono cambiamenti, risveglio delle coscienze…».
L’ambiente e l’ecosistema-Terra devono essere considerati un patrimonio unico e condiviso, per tutta l’umanità e gli esseri viventi, ma quanto contano le singole emergenze, i modi diversi di agire (o non agire) dei singoli governi?
«Storicamente gli accordi internazionali, e penso soprattutto alla Cop 26 sul clima, falliscono nel loro obiettivo perché paesi chiave come gli Stati Uniti o la Cina adottano soluzioni sottodimensionate o addirittura in senso opposto rispetto alle dinamiche da affrontare. Le amministrazioni Trump e Bolsonaro, tanto per fare due esempi, hanno prodotto in questo senso danni gravissimi, e tutto lascia pensare che anche un’Europa spostata a destra – considerando che l’Ue ha avuto negli ultimi anni un ruolo trainante nelle proposte per affrontare la transizione ecologica – finirà con il produrre danni altrettanto pesanti. Pensiamo soltanto al disaccordo sui migranti, che è uno dei portati della questione climatica e dell’ingiusta allocazione delle risorse fondamentali del pianeta. Questo stallo però non deve scoraggiare o indurre a sospendere ogni negoziazione sul clima. Le scelte prioritarie di ciascuno influiscono su tutti gli altri».
L’Agenda 2030, con i suoi diciassette obiettivi da raggiungere, si pone l’obiettivo di garantire il benessere di tutte le persone, lo sviluppo economico, la protezione dell’ambiente, e lo fa promuovendo la pace e l’uguaglianza fra esseri umani, aspetti essenziali per uno sviluppo sostenibile. Eppure nel 2023 il mondo parla ancora di guerra, di pandemie, di “apocalisse nucleare”… Lo spirito dell’Agenda 2030 sembra ancora lontano.
«Condivido il pessimismo, constatando peraltro la lentezza frustrante con la quale chi ci governa reagisce di fronte al conto che la crisi climatica ci sta già presentando oggi, non nel prossimo futuro. Ma mi sento di sottolineare comunque l’importanza dell’Agenda, un documento che ha beneficiato della clamorosa spinta dell’enciclica Laudato Sì: senza questo fondamentale contributo etico e filosofico di papa Francesco, sicuramente i governi avrebbero svicolato sia dagli accordi di Parigi sia dall’Agenda 2030. L’Agenda è importante perché segna un passaggio culturale fondamentale, sancisce e rende in qualche modo ineludibile il fatto che la sostenibilità debba essere contemporaneamente ambientale, sociale ed economica. È il riconoscimento storico che i temi sono interconnessi: non esiste sostenibilità ambientale se non ci sono lotta alla povertà, accesso all’istruzione, pari opportunità per donne e uomini».
Lei ha fatto parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali. Il grande tema dei rifiuti è spesso sottovalutato, eppure è un terreno cruciale per il futuro dell’uomo. Pensiamo soltanto alla grande questione dello stoccaggio e dello smaltimento delle batterie dei veicoli elettrici.
«L’assenza di una gestione efficiente dei rifiuti crea un problema di legalità. In Italia ne sappiamo qualcosa, pensando agli enormi profitti illeciti che la camorra ha saputo ricavare dal traffico di rifiuti. La Terra dei Fuochi ne è l’esempio più macroscopico: per anni, un territorio di oltre mille chilometri quadrati è stato violentato, si sono ammalate persone, si è creato degrado sociale. Insomma, danni incalcolabili. Naturalmente, il problema non è solo italiano. L’Africa sta diventando la pattumiera dell’occidente: non solo deprediamo tutte le risorse fondamentali di quel continente (idrocarburi, materie prime, metalli preziosi e terre rare), ma per di più ne facciamo la discarica di tutti i nostri rifiuti pericolosi, alimentando un decadimento senza fine. L’assenza di una visione strategica nella gestione dei rifiuti produce inoltre un’inadeguatezza economica diretta. Un paese povero di materie prime, ma ricco di inventiva e di progetti innovativi come l’Italia può trarre grande vantaggio da un attento riciclo e dal riuso dei materiali. Esistono grandi eccellenze in tal senso, ma anche in questo caso mancano completamente una visione sistemica e un apparato normativo adeguato, capaci di dare certezze e orizzonti di manovra sicuri a un settore strategico per il nostro futuro».
Il modello sociale ed economico imperante è sempre più energivoro. Come si può invertire la rotta in tema di inquinamento da idrocarburi, tenendo conto delle esigenze di crescita di nazioni come Cina, India, Pakistan?
«Ognuno deve fare la sua parte. A me piace ricordare la favola africana del colibrì, che mentre la foresta va a fuoco, vola avanti e indietro per scaricare sull’incendio piccole gocce d’acqua, fra l’incredulità e lo scetticismo degli altri animali. “Pensi di poter spegnere le fiamme con la tua ridicola goccia d’acqua?”, gli dicono. E lui risponde: “Non lo so, ma intanto faccio la mia parte”. Ecco, è questo lo spirito giusto. L’Europa deve continuare a lavorare per riconvertire le proprie fonti energetiche. La guerra scatenata da Putin ha dimostrato quanto pericoloso sia dipendere dalle fonti fossili di un altro paese. In generale, bisogna smettere di approvvigionarsi presso nazioni dove vigono repressione e soffocamento delle libertà. Non è sostituendo il gas russo con quello egiziano che risolveremo i nostri problemi energetici. E questo aspetto può fornire la spinta decisiva, l’impulso per accelerare sulla sostituzione su vasta scala delle fonti fossili con quelle rinnovabili. Altri Paesi saranno più lenti nella transizione, ma intanto noi possiamo fare la nostra parte, per esempio decidendo di non essere più partner commerciali, ossia complici, di governi illiberali. E a proposito di transizione… sarebbe meglio cominciare a chiamarla – come diceva Alex Langer – conversione ecologica. Non c’è più tempo per transitare, bisogna invece accelerare, trasformare rapidamente il nostro modo di produrre e consumare. Senza una nuova visione etica ogni sforzo sarà vano. E la posta in gioco non è il destino della Terra, che comunque è attrezzata per superare nel lungo periodo ogni tipo di crisi, ma la sopravvivenza stessa del genere umano».
Nel lungo periodo, come diceva Keynes, siamo tutti morti… I recenti disordini in Francia sono sintomo di un grande disagio sociale, di scarsa integrazione, ma anche di degrado urbano, che so essere un tema che le interessa molto. Nelle grandi città contrastano sempre più gentrificazione e ghettizzazione, due fenomeni fortemente interconnessi. Cosa bisogna cambiare nel progetto e nella gestione dei centri urbani?
«Le periferie vengono sempre identificate con i luoghi del disagio sociale e della fragilità economica. Per me vale l’idea delle “città di quindici minuti” coniata dallo scienziato Carlos Moreno come concetto urbano residenziale in cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei residenti può essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta direttamente dalle proprie abitazioni. Non si tratta, come qualcuno sostiene, di un discorso elitario da ambientalisti radical chic, ma della realizzazione concreta dell’idea di città di prossimità, centro multifocale in cui i servizi, le attività e il welfare aiutano i cittadini a costruire una comunità, una autentica condivisione degli spazi e del tempo. Il concetto di rigenerazione urbana di cui mi occupo oggi significa innanzitutto rigenerazione sociale, che comporta l’abbandono della tradizionale dicotomia centro-periferia in favore di un diverso concetto di coesistenza di molti piccoli centri interconnessi fra loro. Non basta mettere in efficienza gli edifici, bisogna rigenerare i rapporti sociali, ricostruire il dialogo intergenerazionale, assicurare assistenza, ascolto e solidarietà alle classi non “produttive”. La qualità ambientale è strettamente connessa al benessere e alla cura delle persone, gli anziani e i malati al primo posto».
Si parla spesso di “buone pratiche”. Qual è l’azione più importante che ciascuno di noi può fare, ogni giorno, per contribuire alla salvaguardia dell’ecosistema e alla diffusione della cultura della sostenibilità?
«Come il colibrì, ciascuno di noi può fare moltissimo. L’unione dei singoli fa la collettività; se tutti fanno la loro parte, l’unione delle singole azioni non rappresenta più un insieme di comportamenti isolati, velleitari o utopistici, ma innesca un vero mutamento di sistema. Ognuno di noi sa se può fare a meno di utilizzare l’auto personale, ridurre il proprio bilancio energetico, conferire i rifiuti nel modo corretto. Tutti noi abbiamo un grande potere: il potere del consumo. Ogni volta che entriamo in un negozio o in un supermercato, possiamo scegliere di consumare meno, privilegiando i beni e i cibi sostenibili, prodotti con un’attenzione etica, scegliendo i negozi di quartiere e rinunciando alle confezioni di plastica. Insomma, bisogna consumare meno e meglio».
Rossella Muroni, ecologista e sociologa, è esperta dei temi legati alla sostenibilità ambientale. All’interno di Legambiente, ha curato negli anni alcune fra le principali attività di sensibilizzazione: da Goletta Verde al Treno Verde, da Spiagge e Fondali Puliti alla rete internazionale dei campi di volontariato ambientale, per poi diventare, dal 2015 al 2017, presidente nazionale dell’associazione. Parlamentare alla Camera dei deputati dal 2018 al 2022, è stata vicepresidente della Commissione Ambiente e Territorio di Montecitorio e componente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali. Oggi è presidente nazionale dell’associazione Nuove Ri-Generazioni, che si occupa di rigenerazione urbana e sociale, e membro dell’ufficio di presidenza di Green Italia.