L'intervista
Cercare le chiavi della pace
Conversazione con Matteo zuppi
“Cerchiamo quello che unisce per risolvere quello che divide. Preparare il dialogo è quasi più importante del dialogo stesso, un po’ come creare il sistema che poi può permettere di trovare la soluzione”. Nella sua Bologna abbiamo incontrato il cardinale Matteo Zuppi, Presidente della Cei, che nonostante i suoi innumerevoli impegni ci ha accolto con il suo stile fraterno, disponibile, uno stile che ci trasmette credibilità e speranza. Con lui abbiamo affrontato alcuni temi di stretta attualità.
Vescovo Matteo, quest’anno è stato un anno impegnativo per lei. Sono passati quasi due anni dall’invasione della Russia dell’Ucraina. Su mandato di papa Francesco lei ha parlato con i grandi della terra, è stato negli Stati Uniti e a Mosca, adesso si appresta ad andare a Pechino. Che spiragli ci sono per il cessate il fuoco? Per una pace giusta?
La speranza ci spinge a cercare le chiavi della pace dove sono finte, spesso proprio dove non c’è la luce o dove non è facile, al buio, in una condizione difficile, affrontando le “ragioni” che hanno generato la guerra. La pace però bisogna cercala sempre. Non viene se non la si crede possibile e se non si cercano i frammenti nascosti in ognuno che dobbiamo ricomporre assieme. Cerchiamo quello che unisce per risolvere quello che divide. Preparare il dialogo è quasi più importante del dialogo stesso, un po’ come creare il sistema che poi può permettere di trovare la soluzione. Bisogna cercare le convergenze interne ed esterne alle parti e tra le parti: sono necessarie e spesso sappiamo che se sono divergenti la guerra continua. E poi ci vuole coraggio anche per fare la pace, anzi forse ce ne vuole ancora di più, perché devi fidarti degli altri e delle garanzie. Ma dialogare non è cedere, ma credere che i problemi possono risolversi non con le armi se si prepara l’incontro e si cercano le garanzie, perché la pace deve essere giusta ma anche sicura.
“Se vuoi la pace prepara la pace”, noi l’abbiamo preparata? La prepariamo?
Troppo poco. La diamo per scontata, mentre la zizzania cresce proprio quando diamo per stabile quello che non lo è. Ho l’impressione che stiamo tornano al se vuoi la pace prepara la guerra. Abbiamo investito sul “disarmo” e soprattutto sul rafforzamento degli organismi sovranazionali che possono intervenire e risolvere con autorità gli inevitabili problemi, contenziosi? Erano una delle eredità più importanti della seconda guerra mondiale, consapevoli che la terza sarebbe stata letale per l’umanità. Verrebbe da ridire interpretando quel sant’uomo di Raoul Foullerau: dateci l’equivalente di una giornata di conflitto e vinciamo la lebbra della guerra!
Ci stiamo abituando alla guerra, come ci stiamo abituando, purtroppo, ai morti giornalieri nel mediterraneo, cimitero di morte, come ci dice papa Francesco. Come possiamo non assuefarci? È imminente una terza guerra mondiale con questa inarrestabile questa corsa agli armamenti?
Il rischio di assuefarci è altissimo. Mi viene da pensare che sia come un meccanismo difensivo dell’organismo umano e collettivo, che non può sopportare un peso prolungato di tale paura e sofferenza. Purtroppo, però, l’indifferenza non fa soffrire e ci sono tanti prodotti di benessere a poco
prezzo, per non pensare. Un cristiano non può proprio abituarsi, perché sa che si tratta del suo prossimo e dello stesso Gesù. La compassione ci fa soffrire con l’uomo mezzo morto, non resta un sentimento e basta. Patire con significa che non stia bene finché l’altro non sta bene! Altrimenti si esaurisce tutto, come avviene sempre, in un sentimento individuale, per cui finisce addirittura che ti senti buono! Non lo siamo se non ci fermiamo e se non ce ne facciamo carico. Fino alla sua guarigione, cioè la pace. Ma dobbiamo fare in modo che la “religione” della guerra appaia sempre più come un disturbo mentale da curare. La guerra deve diventare insopportabile.
Ha partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù che si sono tenute a Lisbona. Un milione e mezzo di giovani spinti da tanto entusiasmo si sono ritrovati intorno a papa Francesco nel nome del Vangelo. Che impressione ha avuto? Nelle nostre realtà, nelle nostre comunità che spinta porteranno?
Entusiasmo, ma anche silenzio, ascolto, preghiera, servizio. Ci hanno riempito di speranza. Non voglio fare finta che non ci siano problemi! Ma abbiamo visto la loro speranza. Ed è salutare anche per noi adulti fare spazio alla loro audacia, alla loro voglia di un futuro più pulito, più fraterno, più ospitale. E non ci chiede anche a noi di ritrovare nuova passione? Hanno superato ogni nostro accidioso pronostico che li rende più fragili e incerti. L’invito ad alzarsi per alzare chi è caduto, a essere accoglienti verso tutti, a vivere la ‘Fratelli tutti’ in una dimensione sociale, devono diventare itinerari concreti, possibili, individuali e comunitari.
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. Il 27 maggio scorso, insieme al presidente Mattarella, ha partecipato a Barbiana all’inizio delle celebrazioni. Qual è il messaggio che viene oggi da Barbiana? Incontri, convegni, dibattiti, libri… parole, parole… sarebbe contento don Lorenzo che annunciava e testimoniava la Parola?
I care, ma non come un auspicio melenso o moralistico, ma come passione che scende diritto al cuore, che riconosce le disuguagliane, che mette al primo posto le urgenze e non guarda in faccia nessuno, che aggiusta l’ascensore sociale, che desidera un futuro per i nuovi ragazzi di Barbiana e ci fa mettere in gioco. Perché ci vuole tanto amore vero, senza limiti e tanta libertà interiore.
Alcuni mesi fa ci ha lasciato un amico, un Vescovo, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per la causa della pace, Luigi Bettazzi. Ci sentiamo un po’ orfani…Ultimo padre conciliare italiano e unico Vescovo italiano che ha firmato il Patto delle Catacombe. Che ricordo ne ha? Che eredità lascia alla Chiesa italiana?
Lo ricorderemo il 4 ottobre prossimo a San Petronio dove era prevista la celebrazione per il suo sessantesimo di ordinazione episcopale. Era un signore, amico dei poveri, libero, che ha costruito tanti ponti perché non aveva paura dell’altro, anzi aveva paura di restare solo o di una Chiesa che si
parla addosso o tira le sue verità come fossero pietre verso un mondo che giudica ma non sa amare. È vero che lui era l’ultimo del Patto delle catacombe, con Helder Camara sognava una Chiesa dei poveri. E Camara sognava un pranzo con i poveri e i “proletari” proprio a Santa Maria in Trastevere.
Pochi giorni prima di morire, il cardinale Carlo Maria Martini, in un’intervista diceva che la Chiesa è indietro di 200 anni. Come possiamo colmare questo divario? Come possiamo essere al passo dell’umanità intera nello spirito evangelico, essere sale, essere lievito?
Continuando ad applicare il Concilio, a leggere i segni dei tempi, a farci interrogare dalla sofferenza del mondo perché la Chiesa sia una madre lieta di tanti figli. C’è bisogno di una chiesa comunione. E non si produce a tavolino e non è frutto di protagonismi vari, ma di due elementi evangelici: la parola di Dio e i poveri. Solo così fuggiremo alla tentazione opposta, quella di correre dietro al mondo, di sentirci a posto perché “facciamo come tutti! Dobbiamo amarlo e donargli Gesù, oppure chiuderci in spazi riservati aspettando che il mondo ritrovi se stesso.
Papa Francesco ci invita costantemente ad avere speranza, a sognare, ad essere uniti, a lasciare l’io per il noi. Il prossimo Sinodo seguirà la strada da lui indicata? Le nostre parrocchie come sono così strutturate, oggi, nel 2023, hanno ancora senso?
Le parrocchie sono una realtà molto vasta e differenziata. Ormai tante sono unite in Zone pastorali. Ma dobbiamo coinvolgere tutti nella missione e dell’amore per i poveri e la solidarietà verso i poveri. Cambia tutto!
A luglio ha partecipato al convegno in ricordo del Codice di Camaldoli, in quell’occasione ha spronato i cattolici all’impegno in politica, “la più alta forma di carità”. In questo periodo storico in cui i cattolici sono insignificanti e non fanno sentire la loro voce, non crede sia importante una formazione all’impegno politico dei cattolici?
Il perché e il per chi farla è il problema. Qualche volta poi i politici iniziano con le migliori intenzioni e poi si perdono. Mi auguro che loro si lascino accompagnare dalle comunità, che queste aiutino a non farsi logorare dal potere e soprattutto che sappiano con intelligenza, cuore e mani tradurre l’amore per la persona in scelte politiche.