L'editoriale
La Speranza come compito
Memoria di Jürgen Moltmann
Mentre giungono i dati delle elezioni europee con le ombre lunghe dei nazionalismi che si estendono in diversi Paesi di questo vecchio continente (peraltro davvero sempre più vecchio come cerchiamo di dire con la copertina e nei diversi articoli sulle giovani generazioni in questo e nei prossimi numeri), ci sollecita la vicina memoria della morte di Jürgen Moltmann, oltretutto a sessant’anni (1964) dall’uscita di quel testo teologicamente epocale che è stato il suo Teologia della speranza. Offriamo ai lettori un inserto con il suo intervento in Cittadella nel 1992: una straordinaria riflessione sul dolore e la questione di Dio che si cala sin troppo puntualmente dentro sempre più incontrollati fronti di guerra in Ucraina, a Gaza e in innumerevoli e spesso dimenticati contesti di un modo nel quale, la rottura di un vecchio equilibrio scatena tutti gli spiriti animali di grezzi e grevi interessi economici e geopolitici. Niente sembrerebbe orientarci verso la speranza. Eppure su di essa apriamo una riflessione forte, da questo numero, anche a partire dalla bolla papale Spes non confundit con cui è stato indetto il Giubileo del 2025. Di essa, intesa come un compito per il presente, c’è più che mai bisogno soprattutto in tempi difficili e dentro il pericolo che pace, giustizia, democrazia, uguaglianza, sorte come promessa universale dalla sofferta memoria delle guerre novecentesche, tornino radicalmente in discussione. D’altra parte Ernst Bloch, sul quale spero di aver l’occasione di tornare prossimamente, scrisse Il Principio Speranza nel contesto di persecuzioni, lager e stragi. E proprio con il grande filosofo tedesco si confrontò a lungo il grande teologo tedesco morto il 3 giugno a 98 anni. Speranza è anche il futuro presente nel passato, è la fecondità della memoria dei giusti sconfitti. Per i cristiani è l’attesa del Regno che consegna un mandato per l’oggi. Attendere, infatti, non ha solo una dimensione escatologica (“Nessuna felicità storica ripara il torto che i morti hanno subito”) ma è, nel penultimo (unico luogo della nostra responsabilità), attendere al compito di alleggerire il mondo dall’ingiustizia, nella compagnia delle donne e degli uomini del nostro tempo. In questa direzione sta la permanente fecondità del pensiero di Moltmann nella sua capacità di cogliere la dinamica di croce e risurrezione. Una croce che assume fino in fondo la sofferenza umana e radicalmente ne diventa solidale ma la colloca in un orizzonte di speranza capace di rispondere alla controutopia della morte e soprattutto a quella dei giusti e degli sventurati. In questo senso la risurrezione è anche continuazione della lotta per la giustizia con altri mezzi. Nella lectio che vi abbiamo riproposto Jürgen Moltmann a un certo punto afferma l’urgenza dei seguire il messaggio, anzi la via di Cristo, in questi termini: “Annunciare ai poveri il Regno di Dio significa restituir loro la dignità da cui li hanno defraudati i violenti; guarire gli infermi significa gettare in questo mondo di morte i germi della vita; sanare i lebbrosi significa accogliere gli handicappati che la società emargina; cacciare i demoni significa colpire gli idoli cui nello Stato e nella società si sacrificano tante persone deboli… seguire Cristo significa quindi impegnarsi, nel proprio luogo e nel proprio tempo… contro tutti quelli che diffondono morte”. Morte con le guerre, con l’avvelenamento ambientale, con l’avvelenamento sociale. Insomma impegno per una pace nella giustizia, nell’uguaglianza, nell’equilibrio antropologico ed ecologico. E su questi temi si è concentrato sino alla fine l’impegno dell’evangelico Moltmann a costruire una teologia ed una prassi ecumenica, ricca degli apporti delle varie confessioni cristiane, nella convinzione una è la Chiesa. Alti ideali si dirà! E non solo per i cristiani. Certo, ma fuori di essi, c’è solo un disperato schiacciamento sul presente, senza anima e senza prospettiva ed anche il rischio di precipitare in una nuova barbarie. Bisogna alzare la testa sopra il pelo dell’acqua stando, combattendo e costruendo nel gorgo delle condizioni reali ma sapendo guardare più lontano dei propri piedi, poiché nessun piccolo cabotaggio saprà motivare un nuovo impegno civile. Solo le belle bandiere consentono di sfidare i pochi, grandi poteri che disordinano il mondo.