Il convitato di pietra della sinodalità

Il 13 giugno 2024 il Dicastero per la promozione dell’Unità dei Cristiani ha pubblicato il documento “Il Vescovo di Roma”. Si tratta di un documento di sintesi, dedicato soprattutto a studiosi del campo e che si propone di essere una raccolta dei frutti più recenti dialogo ecumenico su questo tema al modo di un instrumentum laboris, con l’auspicio di promuovere ulteriori approfondimenti. Sotto questo profilo, abbiamo davanti un testo notevole, sicuramente utile. Dal momento che siamo davanti ad un documento molto lungo e articolato, ne propongo una sintesi, riservandomi un commento finale.

Nell’introduzione si ricorda che con il Concilio Vaticano II, il ministero del Vescovo di Roma è entrato in una nuova dimensione ecumenica. Infatti Giovanni Paolo II, nella Ut unum sint aveva invitato a trovare un modo di esercitare il primato che fosse riconosciuto da tutte le Chiese; tema sostenuto anche da Papa Francesco nel suo impegno a costruire una Chiesa sinodale a tutti i livelli.

Le reazioni delle altre chiese alla Ut unum sint hanno generato numerosi dialoghi ecumenici che hanno fatto progredire la discussione tra le diverse tradizioni cristiane, evidenziando un nuovo clima positivo.

Le preoccupazioni e le conclusioni (si contano 30 risposte e 50 documenti di dialogo) alle quali sono arrivati i dialoghi teologici tra le tradizioni confessionali coinvolte, variano: alcuni hanno esplorato a fondo la questione, altri solo in parte, mentre alcuni non l’hanno affrontata. Tuttavia, si possono identificare alcuni frutti comuni.

Nuovi approcci ai “testi petrini”

I dialoghi teologici hanno portato a una nuova lettura dei cosiddetti “testi petrini” che nella storia sono stati di ostacolo per i cristiani. I cattolici sono stati sfidati a riconoscere proiezioni anacronistiche e a riscoprire una varietà di immagini, interpretazioni e modelli di leadership nel Nuovo Testamento, compresa una immagine più completa (e limitata) di Pietro tra gli apostoli. Contributi significativi sono arrivati dall’approfondimento di nozioni bibliche quali episkopé, diakonia e della stessa “funzione petrina”. I cattolici si sono dovuti confrontare con diverse interpretazioni di testi come Mt 16,17-19 o con altri punti di vista circa la trasmissione dell’autorità apostolica.

I chiarimenti ermeneutici hanno permesso di superare l’idea che il primato fosse un istituto de iure divino, concentrandosi maggiormente sul contesto storico che ha influenzato l’esercizio del primato e vedendo quest’ultimo come mediato sempre storicamente. Le definizioni dogmatiche del Concilio Vaticano I, anche queste di ostacolo per altri cristiani, sono state riesaminate, aprendo nuove prospettive interpretative basate sul loro contesto storico e sull’insegnamento del Vaticano II.

Lo studio approfondito della Pastor æternus ha portato a chiarire la definizione della giurisdizione universale e dell’infallibilità, identificandone estensione e limiti. Nonostante i chiarimenti, persistono tuttavia preoccupazioni sul rapporto tra infallibilità, primato del Vangelo e collegialità episcopale.

Ministero di Unità

Questi approcci teologici hanno aperto nuove prospettive per un ministero dell’unità che riguarda il bene della Chiesa più che un esercizio di potere. I dialoghi riconoscono la necessità di una funzione primaziale che sia in interdipendenza con la sinodalità, anche in considerazione del contesto della globalizzazione e delle esigenze missionarie.

Sono stati soprattutto i dialoghi con le Chiese ortodosse ad evidenziare che i principi di comunione del primo millennio restano paradigmatici anche oggi. In quel periodo di sostanziale comunione dei cristiani infatti il “primato d’onore” del Vescovo di Roma, l’interdipendenza tra primato e sinodalità, il diritto di appello e i concili ecumenici erano visti come punti di riferimento per un ministero di unità a livello universale.

Tornare al primo millennio è sempre cruciale, ma esso non va idealizzato soprattutto perché gli sviluppi del secondo millennio e le sfide contemporanee sono rilevanti. Nel XXI secolo diventa importante l’interdipendenza tra primato e sinodalità. Quest’ultima si comprende secondo le tre dimensioni essenziali e complementari della Chiesa e cioè quella comunitaria (tutti), quella collegiale (alcuni) e quella personale (uno) le quali sono operanti a livello locale, regionale e universale. Così anche la funzione petrina deve essere vista in un contesto ecclesiologico più ampio. Diventa anzi fondamentale un equilibrio tra primato a livello regionale e universale.

Lo stesso dialogo con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali evidenzia la necessità di un equilibrio tra primato e primati, cercando sì una comunione basata su verità e amore, ma mantenendo le tradizioni e le discipline proprie. Il dialogo ortodosso-cattolico infatti ha rivisitato criticamente il fenomeno dell’uniatismo, riconoscendo che il modello attuale delle Chiese orientali cattoliche, che mantengono autonomia nelle strutture sinodali, non è accettato dalle Chiese ortodosse come modello per la futura comunione.

Anche il principio di sussidiarietà viene ribadito come cruciale per l’esercizio del primato. Esso dovrebbe promuovere la partecipazione di tutta la Chiesa nel processo decisionale. I dialoghi suggeriscono che il potere del Vescovo di Roma dovrebbe essere limitato al necessario ministero di unità e che per il suo esercizio egli abbia bisogno di una consistente struttura sinodale.

Suggerimenti pratici

Il Documento propone in conclusione quattro suggerimenti pratici rivolti alla chiesa cattolica.

  1. La proposta di una rilettura o reinterpretazione degli insegnamenti del Vaticano I per adattarli al contesto culturale ed ecumenico attuale integrandoli in un’ecclesiologia di comunione.
  2. Separare il ministero (regionale) patriarcale nella Chiesa d’Occidente da quello primaziale di unità nella comunione delle Chiese (universale) e dal ruolo politico di capo di Stato, per enfatizzare invece il ministero episcopale nella diocesi di Roma.
  3. Promuovere maggiore sinodalità all’interno della Chiesa cattolica, dando maggiore autorità alle conferenze episcopali nazionali e regionali e coinvolgendo maggiormente il Popolo di Dio nei processi sinodali.
  4. Organizzare incontri e consultazioni regolari tra i leader delle Chiese a livello mondiale per rafforzare la comunione e promuovere azioni comuni.

Nonostante che il primato papale sia stato descritto da Paolo VI come il “più grande ostacolo” sulla strada verso l’unità, sembrerebbe che la sua interpretazione teologica e la modalità del suo esercizio escano da questo documento come strumenti più “oleati” in funzione dell’unità, almeno per quanto riguarda il livello ecumenico. Tuttavia ma risultano un vero convitato di pietra all’interno di una chiesa cattolica che fa un gran parlare di sinodalità.

Risulterebbe infatti poco credibile un esercizio del primato che apparisse autoritario nei confronti delle Conferenze episcopali cattoliche (vedi il caso di quella tedesca) o del Sinodo dei Vescovi e invece del tutto “onorario” in ambito ecumenico.