Il problema della Chiesa col sesso

Il recente caso del rifiuto dell’approvazione per la nomina di Martin Lintner a preside dello Studio teologico di Bressanone, ha destato sconcerto in ambito ecclesiale ed accademico. Non si comprendono bene le motivazioni, che tuttavia sembrano essere legate alle posizioni sulla morale sessuale che il teologo ha avanzato.
La Chiesa cattolica ha portato avanti nei secoli una visione della sessualità elaborata da una prospettiva esclusivamente maschile. In questo ambito sarebbe utile rielaborare alcuni aspetti anche con il contributo della riflessione teologica delle donne.

Separazione tra corpo e anima

Iniziamo dalle basi: una morale sessuale si basa su un’idea di essere umano. In un’antropologia come quella cattolica che distingueva (e a volte separava) corpo e anima, la sessualità atteneva certamente al corpo. Più che come parte strutturante della persona (anche spirituale) era considerata qualcosa che aveva a che fare più propriamente con la parte bestiale dell’umano che con la sua anima. Sono stati molti i teologi dei primi secoli che hanno considerato la corporeità o addirittura la sessualità create in seconda istanza, successivamente alla costituzione umana originaria, ritenendole quindi secondarie alla realizzazione della persona e/o addirittura da eliminare per recuperare l’iniziale configurazione.
In questa visione, Adamo diventava simbolo della mente superiore e creata prima, mentre Eva diventava simbolo del corpo e della sensualità, quindi creata dopo e come aiuto per Adamo. Il serpente interveniva tramite la sensualità, cioè Eva, a spostare l’equilibrio paradisiaco di Adamo verso la corporeità, la sensualità e quindi verso il peccato.
Se questa visione ha assunto tratti spesso angoscianti e problematici, è stato anche a causa di una certa ricezione di tale pensiero in Agostino. Rimasto famoso per una famosa frase presente nelle Confessiones (“Dio, dammi la castità ma non adesso”), che mostra il desiderio sessuale causa di una divisione nell’animo, Agostino ha consegnato alla teologia una visione oscura dell’atto sessuale, responsabile diretto, a suo parere, della trasmissione del peccato originale. Nella sua polemica con Giuliano di Eclano, in particolare, Agostino intende spiegare come la concupiscenza si manifesti in alcuni atti corporei. Sono atti sottratti al controllo della ragione e dunque da lui considerati peccaminosi (non sto a dire qui come questa visione sia debitrice in realtà ad una antropologia stoica). Qui egli arriva a fare due esempi, uno dei quali diventerà esiziale: l’indipendenza del pene e quella del battito del cuore sono casi nei quali si mostra che il corpo disobbedisce alla mente. Questa disobbedienza sarebbe secondo lui una delle manifestazioni della concupiscenza, residuo del peccato originale. L’esempio dell’indipendenza del pene diventò argomentazione per affermare che nell’atto sessuale l’essere umano è sottoposto a peccato e tramite esso lo trasmette alle generazioni successive. Di lì la concezione della sessualità prese vie che l’hanno collegata sempre più al peccato piuttosto che alla santità.

Convinzioni criticabili

Tutte queste convinzioni, su cui si basa questo tipo di concezione, subiscono una necessaria critica. Anzitutto la visione antropologica che separa anima e corpo è divenuta oggi più che mai problematica: si deve concepire l’anima e dunque la persona come un connubio insolubile tra queste due. Inoltre, sempre più distintamente dall’inizio del Novecento, gli studi scientifici hanno chiarito che la sessualità non attiene primariamente al corpo ma alla psiche e questo fin dai primi momenti della costituzione del composto umano, anche quando il bimbo non ha ancora sviluppato la fase genitale. Non solo il neonato, ma perfino il feto presenta impulsi sessuali, dal momento che con la sessualità non s’intende più l’attività meramente genitale, ma piuttosto la spinta al piacere nell’avere e intessere relazioni (anche con se stessi). Infine, è chiara l’ideologia patriarcale, inficiata di sessismo, che ha permesso una lettura della Bibbia discriminante per le donne.
L’antropologia antica ha permesso di concepire l’esercizio della sessualità solo ed esclusivamente in vista della procreazione, con la giustificazione biblica del testo di Gen 1,28 (“siate fecondi e moltiplicatevi”), ma consolidatasi non da ultimo a causa del fatto che sono stati soprattutto gli uomini maschi a formulare una tale interpretazione biblica e concezione del sesso. È solo nel loro corpo, infatti, che piacere e fecondità risultano indissolubilmente uniti. La produzione del seme nel maschio umano, infatti, avviene collateralmente al raggiungimento dell’apex del piacere.

Una lettura riduttiva della sessualità

Questa localizzazione della genitalità ha determinato anche una lettura riduttiva della sessualità.
Ancora una volta una tale concezione non sarebbe stata possibile partendo da una lettura dell’anatomia della donna, che nel suo corpo presenta un organo specificatamente e unicamente dedicato al piacere sessuale. Esso non risulta collegato alle fasi della sua fertilità. La presenza di tale organo è qualcosa di talmente inaudito per la mentalità patriarcale che in molte culture esso viene reciso! L’infibulazione è una pratica brutale e maschilista presente ancora in almeno 30 paesi.
In certi assunti acritici sono cadute le menti più brillanti della cultura occidentale. Anche Aristotele risulta determinato dal modello maschile per cui c’è fecondità solo se c’è piacere. Secondo tale criterio, il fatto che la donna a volte concepisca senza arrivare alla soddisfazione e a volte provi appagamento senza essere feconda, porta il filosofo a concludere che essa non apporti un suo seme nella generazione. Solo nel 1827 la scienza avrebbe scoperto l’esistenza dell’ovulo femminile, prima solo ipotizzato da una minoranza di filosofi. Per lo più fino ad allora, il ruolo della donna nella generazione era stato considerato esclusivamente passivo. Di qui la giustificazione della sua inferiorità e non autonomia anche in campo sociale e culturale; di qui anche una complicata elaborazione della concezione verginale di Maria.

Fecondità femminile e maschile

La fecondità femminile segue un ritmo tutto suo, spesso abbastanza indipendente dalla sua attività sessuale. Milioni di ovuli, infatti, sono prodotti ed eliminati, senza collegamento all’orgasmo e senza che nessuna etica si sia mai stracciata le vesti per questo, relegando tutto ciò all’ambito del naturale ovvero – ma con un salto acrobatico – ad una volontà di Dio stesso. Del seme maschile invece si è fatto un largo processo di sacralizzazione e la sua perdita sottoposta a colpevolizzazione, comprensibile forse in una cultura nomade e in un popolo esposto al rischio di estinzione come quello ebraico, che doveva quindi facilitare e potenziare al massimo la fecondità, pena la sua estinzione come popolo. Il racconto di Onan ha dato il nome ad una pratica che resta ancora oggi, in una umanità che conta un numero di individui mai avuto in precedenza nella storia, il peccato sessuale fondamentale: onanismo.Per quanto i corpi siano diversi e ogni corpo abbia le sue specifiche zone erogene, il corpo della donna ha differentemente dall’uomo maschio una distribuzione vasta e periferica dei suoi organi sessuali, che sono collocati esternamente ma anche presenti internamente. Tutto questo dovrebbe di per sé costituire una contestazione ad ogni concezione della sessualità che restringa il sesso alla genitalità e quest’ultima sostanzialmente all’attività esterna alla persona, come risulta quella del fallo maschile.
L’identificazione poi tra la capacità di procreare del maschio e la dimostrazione della sua potenza (è significativo che il nome che la disfunzione erettile maschile ha preso sia impotenza) ha dato origine a tutti gli abusi spirituali e di potere che avvengono ai danni delle donne, di chi presenta una maschilità non normativa e che viene percepito deviante rispetto alla maschilità normante, o dei bambini. La pedofilia, infatti, prima che un abuso sessuale è una disfunzione della persona nel campo della sua gestione del potere.

Sesso ed etica

Vorrei aggiungere che ovviamente il fatto che la morale debba partire da una interpretazione della fisiologia dell’anatomia umana è una posizione che non si intende da sé, ma avrebbe bisogno di essere motivata e messa sotto critica. Risulta però evidente che la visione fin qui delineata appare collegata ad una antropologia superata e che mantiene della sessualità aspetti “predatori” più che relazionali.
Sono dell’idea che se a formulare l’etica sessuale avessero contribuito maggiormente le donne, non avremmo avuto una mentalità così sessuofobica e oggi saremmo fuori da quella dicotomia che rende per la chiesa cattolica il sesso un’ossessione: da una parte, infatti, la riteniamo solo fonte di peccato, escludendone quanto più l’esercizio giocoso e liberante, teoricamente – ma solo teoricamente – negandone l’espressione ai preti cattolici latini o agli omosessuali, quasi come se ciò potesse costituire di per sé un metodo infallibile per il raggiungimento della santità; dall’altra, impedendo a chiunque voglia aprire una riflessione teologica più articolata e meno arcaica su queste questioni ogni riconoscimento (vedi caso Lintner). Nell’un caso e nell’altro si dimentica che la concezione della santità cristiana dovrebbe essere legata alla capacità di amore della persona e non alla quantità delle sue eiaculazioni.

Una visione arcaica

Una visione della sessualità così arcaica che distingue fino a separare anima e corpo, riduce la sessualità alla genitalità separandola dal resto della persona e collega il piacere sessuale alla fecondità, si rende responsabile degli abusi più devastanti nei confronti delle donne, in ambito sia sessuale che di potere (vedi caso Rupnik); ammette l’esercizio della prostituzione come se riguardasse solo un atto esterno del cliente. Questi potrebbe continuare a percepire l’immagine di sé ancora compatibile con quella di una persona rispettabile e moralmente onesta. L’idea che ciò che si fa col sesso, magari a pagamento e con persone ritenute mera merce per appagare le proprie legittime necessità, non riguardi l’intera persona, è una concezione che ebbe la sua più chiara espressione nelle eresie gnostiche. In questi gruppi, i quali dividevano totalmente lo spirito dalla materia, era possibile rilevare due tipi di atteggiamenti rispetto alla sessualità: o fortemente ascetico – perché l’anima doveva abbandonare il corpo – oppure totalmente libertino – perché convinti che ciò che si attuava col corpo non avrebbe “intaccato” l’anima. Supporre una forte separazione tra materia e spirito, tra corpo e anima, implica che ciò che avviene in uno dei due poli non abbia impatto sull’altro e viceversa. Fintanto che il corpo e la sessualità verranno concepite come separate e non integralmente costitutive della persona, si permetterà anche un uso strumentale della corporeità (propria e altrui). Sembra che in alcuni casi anche certe teorie della morale cattolica non siano esenti da un certo gnosticismo.