Femminile plurale
Donne e gay dei paesi miei
Il Papa ha ribadito il suo no all’ordinazione delle donne nel primo grado del ministero.
La decisione sconcerta dal momento che, come è stato scritto soprattutto dalle teologhe in innumerevoli testi, articoli, pagine cartacee e virtuali e detto e ripetuto fuori e dentro le istituzioni teologiche da diversi decenni, non ci sono motivazioni bibliche, storiche, teologiche, di tradizione o sistematiche per tale esclusione.
Andrea Grillo, che molto appassionatamente ha avviato un dibattito su Settimana News circa questa questione, ha chiamato le teologhe ad intervenire. Se l’entusiasmo da parte nostra stenta ad accendersi e se l’entrata appare in seconda battuta non è certo per paura o per mancanza di argomenti. C’è piuttosto la sensazione che tutto quello che c’era da dire è stato già detto, scritto e ribadito più e più volte da ciascuna di noi a tempo opportuno e non opportuno. Da parte mia posso aggiungere che emerge quasi una certa insofferenza ad essere chiamata ad entrare in un dibattito che pur riprendendo gli studi e le argomentazioni denunciate dalle teologhe, sembra ora essere preso sul serio solo perché avviato da teologi. Sappiamo infatti di essere state una tenace minoranza, anche un po’ di nicchia, e che la nostra riflessione è stata ignorata dalla più seriosa riflessione maschile, talvolta derubricata a questioni sociologiche, certamente quasi mai letta, nonostante la consistenza e la capillarità delle pubblicazioni. Forse c’è da ammettere anche che vi sia stato un certo timore in passato di parlare di queste questioni da parte dei teologi patentati, per paura di perdere il posto o di non fare carriera.
Ma sempre più mi convinco che il motivo deve risiedere anche altrove.
Il cervello patriarcale
Se, infatti, il no all’ordinazione delle donne appare sconcertante perché non può basarsi su nessuna argomentazione razionale e motivo teologico, un motivo però deve pur averlo e va probabilmente ricercato in qualche passione o paura, comunque in una reazione istintiva e non razionale.
Le reazioni che chiamiamo istintive e che spesso vengono confuse con “naturali” hanno a che fare anche con la biologia e con il nostro cervello. Le ricerche scientifiche dicono che la cultura plasma il nostro cervello e le nostre reti neurali in modo così forte da diventare un assetto quasi permanente di noi, da diventare talmente parte di noi da sembrarci “naturale”. Questo accade soprattutto se le convinzioni e l’educazione che riceviamo derivano da situazioni secolari e se ad esse siamo stati “addestrati” fin dall’infanzia. Un noto biologo e psicanalista, M. Benasayag, volendo farmi capire la plasticità del cervello ma anche il suo strutturarsi, ha usato l’esempio del fatto che i maschi non riescono proprio a vedere e capire certe istanze delle donne. Non che i loro cervelli nascano “naturalmente” diversi, ma perché l’educazione patriarcale che hanno ricevuto, nella quale sono cresciuti e che hanno respirato fin da piccoli, ha “irrigidito” nel corso del tempo le loro reti neurali così. Il cervello infatti è plastico e può modificarsi, più facilmente in età giovanile che adulta, più facilmente negli strati più recenti che in quelli ancestrali. Ciò spiegherebbe la difficoltà del cervello di un cattolico maschio anziano a far cadere la riserva maschile all’ordinazione e la velocità delle sue sinapsi ad associare omoaffettività ad “anormalità”… per la felicità di Vannacci.
Mi pare allora di vedere qualcosa di comune tra il no ribadito dal Papa all’ordinazione diaconale delle donne e la “frociaggine” uscita dal maldestro italiano del nostro Papa. Entrambe infatti hanno origine in un antico sistema culturale di valori nel quale il maschio eterosessuale era ritenuto la versione perfetta dell’umanità alla quale anche sola spetterebbe il potere. Tutto ciò che si allontana da questo modello originario, che sia un maschile altro (in qualsiasi modo questa alterità si manifesti) o un altro dal maschio (in questo caso la donna), viene sostanzialmente svalutato.
Lo chiameremo sessismo perché attribuisce ad uno dei due sessi, in questo caso al maschio eterosessuale, valore e potere, arrivando a semantizzare tutto ciò che non appartiene alla maschilità machista e fallica, con biasimo (“effeminato”, “isterica”, muliebre deriverebbe mollitia mentre vir da forza). A ben vedere infatti solo la sessualità maschile collega piacere sessuale e fecondità con la conseguenza che in un sistema “machista” ogni piacere infecondo viene considerato anormale e/o peccaminoso.
Il linguaggio esprime la visione del mondo
“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” (Wittgenstein). La cultura infatti si imprime profondamente nelle parole che usiamo perché il linguaggio esprime la nostra visione del mondo. Il linguaggio è la spia del modo in cui vediamo, percepiamo e abitiamo il mondo. Di più: la parola è un dispositivo capace di plasmare la realtà nominata, perché nominando diamo forma alla realtà, come dice Gen 2,19. Il linguaggio, scriveva Silvia D’Adda a commento delle inopportune parole papali, “innerva la trama della socialità che abitiamo, lo stile del nostro interagire”.
Il linguaggio plasma il mondo e ha un valore performante perché parlare è anche un atto di potere sulla realtà, la determina. Così il potere che il Papa ha esercitato dicendo due piccole lettere nei confronti delle donne, come il “no” alla loro ordinazione, è un potere escludente, che ricaccia le donne (quando mai ne sono uscite?) in posizioni marginali della chiesa. Come detto, esso deriva da convinzioni ancestrali e profonde, dure a morire, che si sono però consolidate profondamente nella struttura mentale (e cerebrale) dell’anziano patriarca. Così anche il linguaggio usato per parlare dei gay è la spia del (dis)valore che effettivamente si attribuisce all’omosessualità, un disvalore incistato nella struttura mentale antica e più profonda delle reti neurali. Così dobbiamo pensare che le parole di scuse nei confronti dei gay dopo la sua uscita scomposta o le patinate rassicurazioni nei confronti dell’importanza delle donne nella Chiesa dopo il no alle diacone, appartengano in fondo alla struttura rigida o irrigidita del cervello di chi, cresciuto e invecchiato in una istituzione patriarcale e sessista, fatica a ritenere “sano” un omoaffettivo e ha sedimentato una introiezione valoriale del femminile come funzionale e secondaria.
Doppia morale e scissioni interiori
Sappiamo che Bergoglio non padroneggia perfettamente l’italiano e che la parola sui gay potrebbe essergli stata addirittura suggerita da ambienti adusi ad un tale termine e da lui usata forse in modo inconsapevole (il che non elimina certamente il problema di voler escludere gli omoaffettivi dai seminari). C’è da chiedersi certo chi e perché abbia voluto far uscire da quella sala questa espressione (causando una indubbia caduta di stile). Ma si sa, i veleni nei palazzi vaticani non mancano e avvelenano anzitutto le vite loro oltre che le altrui. Se però di un Ministero ordinato (della Parola) vogliono mantenere il privilegio occorre che scelgano con più cura le parole che dicono, perché è da tempo che le loro parole avvelenano mondi e coscienze. Il Papa stesso aveva iniziato a parlare in modo meno problematico dei gay così che oggi nel mondo ecclesiale cattolico il tema viene trattato in modo meno coatto rispetto a solo un decennio fa.
Chi conosce il mondo ecclesiale da dentro sa che è vero: monasteri e seminari hanno una alta percentuale di persone omoaffettive. I vescovi dovrebbero chiedersi anzitutto perché e scoprirebbero che il motivo è legato alla stessa demonizzazione dell’omoaffettività fatta da parte della Chiesa cattolica che costringe così da una parte se stessa ad una doppia morale e dall’altra i singoli a scissioni interiori dolorosissime che provocano disagi e conducono perfino a malattie. L’evidenza della diffusione dell’omoaffettività negli ambienti religiosi mette i vescovi davanti ad un altro fatto indubitabile: quello di perdere il controllo dei corpi e della sessualità. Un tempo, infatti, in una società che nascondeva l’omosessualità agli occhi e alle menti di tutti, una rigida separazione tra uomini e donne (con il confinamento “claustrale” delle donne) assicurava più o meno un certo controllo sulla vita sessuale. Oggi non è più così: difficile accettarlo e spiegarlo al mondo se si continua a pensare alla sessualità in termini eminentemente procreativi.