L'editoriale
Il canovaccio ritrovato
Noi di Rocca abbiamo in mente una chiusura dell’anno centenario di don Lorenzo Milani con la pubblicazione di un nostro libro che riattraversi e rilegga la storia del Priore di Barbiana e dei suoi ragazzi, per vedere come sia interpellata dall’oggi e come essa continui a provocarlo. Qualcuno di noi aveva sentito parlare di un’opera teatrale rappresentata in Cittadella in un tempo più o meno lontano. Infine chi ha vissuto qui una vita ci ha messo sulla strada giusta e abbiamo riscoperto che il numero 18 di Rocca, nientemeno del primo ottobre 1969, a soli due anni dalla morte di don Lorenzo, custodiva il bellissimo testo dal titolo L’obbedienza non è più una virtù a cura della Compagnia della Loggetta, per la regìa di Mina Mezzadri, corredato dalle foto di Gino Bulla. Un racconto davvero intenso di questa unica, localissima e universalissima esperienza civile ed evangelica, dove la “massima cattedra della povertà” è l’unica “da cui si possa dire al mondo sociale e politico qualche parola nostra, in cui nessuno ci abbia preceduto”. E poi tutto quello che sta ancora, in forme diverse, davanti a noi: rischi di omologazione, crescita delle disuguaglianze, lavoro povero di diritti, e poi soprattutto guerra e riarmo a cui nessuno sembra poter disobbedire (l’obbedienza torna ad essere una virtù senza se e senza ma?) senza essere considerato fuori dal realismo della storia che “prepara la guerra”. Anche se la storia dell’umanità ci dice in chiaro che per questa strada non si è mai avuta la pace, se non quella perpetua dei cimiteri. Ancora oggi don Lorenzo ci tiene svegli con quei suoi graffi ruvidi e benefici che feriscono ogni conformismo politico ed ecclesiale.
Scorrendo le pagine di quella lontanissima Rocca ci si imbatte nelle aspettative del Sinodo dei vescovi sulla collegialità (sic!): la spinta del Concilio era ancora robusta e si incontrava con movimenti di giovani, di donne, di operai che sfondavano le porte della Chiesa e vi portavano un vento nuovo. Certo talvolta disordinato e disordinante ma comunque vitale. Chi sa che non ci fosse dentro quel soffio che spira e ispira dove vuole.
A metà rivista sono colpito da una foto straordinaria: discutono amabilmente in Cittadella Karl Rahner, Giulio Girardi, Roger Garaudy e Cesare Luporini. Davvero il meglio delle intelligenze in un dialogo che ha cercato di rompere i muri della divisione tra cristianesimo e socialismo. Più avanti Arturo Paoli parla delle comunità religiose che “si sono troppo preoccupate di fare la Chiesa puntando sull’efficienza e la produttività, e troppo poco di essere chiesa cioè segni concreti della salvezza in atto nel mondo”. E ancora un padre Balducci accusato di vilipendio alla religione per aver detto in Cittadella che “siccome la Chiesa si trova a spezzare il pane eucaristico soprattutto tra i popoli ricchi, l’eucaristia contrae un tragico aspetto di illegittimità che costringe la Chiesa al pentimento, alla spontanea spoliazione di sé e al rifiuto di quell’ingerenza dei ricchi che la costringono a partecipare all’eucaristia senza discernere il corpo del Signore”. Eh sì, parole forti. Un canovaccio pieno di passioni, di idee, di speranze che per un lungo periodo sono state combattute, ignorate, ibernate.
Poi senti Papa Francesco a Verona mettere insieme denuncia della rovinosa corsa agli armamenti, accettazione del conflitto civile per un mondo più giusto, difesa di un’idea di democrazia partecipativa senza leader che tolgano l’aria, una comunità cristiana che non si blinda in nessun bunker spirituale chiuso e malaticcio ma che prova a costruire percorsi di fraternità nella compagnia delle donne e degli uomini del proprio tempo, a partire dall’autorità di coloro che soffrono, e pensi e speri di aver ritrovato il canovaccio, quello originale. E che valga sempre la pena spendersi per un avvenire di pace e di giustizia anche, anzi soprattutto, quando un’ombra sembra chiuderne l’orizzonte.