Democrazia modello Matteotti

A ricordare Giacomo Matteotti a Fratta Polesine, suo paese natale, c’è una targa commemorativa che per oltre sessant’anni ha sofferto di una censura scandalosa. Si legge: «Assurto dal martirio a simbolo di libertà presso tutte le genti nella sua terra senza pace attende il giorno della giustizia riparatrice». Nel 1950, il Ministero dell’Interno, retto all’epoca da Mario Scelba, non consentì di incidere quell’ultima frase: «senza pace attende il giorno della giustizia riparatrice». Solo da pochi anni è stata finalmente completata quella verità dimenticata ma, forse, il giorno della giustizia riparatrice non è ancora giunto. Da queste pagine vogliamo smarcarci decisamente dalla cerimonia silente che accompagna il centenario di quel barbaro assassinio (14 giugno 1924) e speriamo di essere smentiti almeno in prossimità dell’evento. Gli oppositori del fascismo e di Mussolini che sedevano negli scranni del parlamento erano tanti, ma l’odio omicida del dittatore si abbatté su Matteotti perché da lui si sentiva particolarmente minacciato. Era un intellettuale illuminato che sapeva unire a sapere, studio, pensiero e ricerca, una forte capacità carismatica tipica dei leader. Matteotti era un cercatore di verità. «Tempesta» lo soprannominarono i suoi compagni di partito perché era sempre battagliero e indomabile, ostinato e fiero. Una vera spina nel fianco del regime. Oggi gli storici che hanno posto mano a una indagine finalmente più approfondita dicono che proprio le sue ricerche scrupolose, lo avevano portato a scoprire fatti di corruzione, intimidazioni e minacce che avevano viziato il voto al punto da portarlo a chiederne l’annullamento. Il culmine fu raggiunto quando i servizi segreti del Viminale (Ceka) con ogni probabilità vennero a conoscenza del dossier col quale Matteotti avrebbe pubblicamente denunciato in aula che il duce aveva concesso lo sfruttamento del sottosuolo italiano alla compagnia petrolifera Sinclair Oil in cambio di alcune tangenti che servivano a finanziare il giornale e il partito fascista. Regista dell’operazione era Mussolini in prima persona. A Fratta Polesine hanno dato vita a una mostra che getta una luce chiarissima su quel deputato contrario a ogni guerra e a ogni forma di violenza e catalogato come sovversivo già dalla prima scheda che emerge dai servizi nel 1919. «Giacomo Matteotti (1885 –1924). Una Storia di tutti» è il titolo della mostra che vale proprio la pena visitare. Così come la fatica di Concetto Vecchio che, nelle pagine di «Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi», ha racchiuso non solo la storia di un uomo finora conosciuto solo per la sua morte e non per la sua vita ma anche la lotta di coloro che, a volte non senza ostacoli, hanno cercato di salvaguardare la sua memoria. Coi tempi che corrono, non conservare, ma riportare alla luce la testimonianza e il modello-Matteotti, appare quanto mai salutare per la democrazia.