Tradurre è un tumulto d’amore

Tante storie

Alberto Manguel
Il rovescio dell’arazzo. Note sull’arte della traduzione
Sellerio Editore, Palermo, 2024, pp. 168
€ 13,00

“Tradurre significa ripercorrere la rotta battura dal primo esploratore. Il mare non tiene traccia di quel viaggio iniziale; non esistono mappe se non nelle cronache del viaggiatore. Seguendo le parole sulla pagina, il traduttore dovrà poi guidare se stesso, mappando il testo attraverso le onde e osservando le stelle. Si dice che i marinai polinesiani siano capaci di leggere il mare immergendo le mani nella corrente. Allo stesso modo, i traduttori percepiscono la direzione che voleva prendere l’originale, i vortici che ha evitato, le tempeste che ha schivato, le secche si profilavano all’orizzonte. Il traduttore condivide gli stessi rischi dello scrittore, ma dall’esperienza di quest’ultimo può imparare che cosa fare o non fare, quando issare e ammainare le vele, quando abbandonarsi alle insondabili profondità.”

Questa è una delle metafore contenute nel libro di Alberto Manguel “Il rovescio dell’arazzo. Note sull’arte della traduzione” (Sellerio, 2024): delizioso libretto da leggere in una giornata per godere di un viaggio nella letteratura e nelle storie narrate dall’antichità ai giorni nostri.

In effetti, la questione della traduzione, che pure viene affrontata a più riprese, con esempi che vanno dalla Bibbia, al Vangelo, al Corano, dalla letteratura greca e latina a quelle dei secoli successivi, sembra essere più che altro uno spunto per muoversi con maestria nel mondo narrato dai libri, nei miti e nelle storie che da millenni costruiscono l’universo letterario.

Letteratura sopra a tutto, ma anche linguistica, storia, antropologia, religione, mitologia, psicologia e filosofia fanno da ingredienti nella ricetta di Manguel per affrontare il tema della traduzione, come già era avvenuto per altri suoi libri: da “Una storia della lettura” (Mondadori, 1997) a “Vivere con i libri” (Einaudi, 2018) per citarne solo due dei più famosi.

Lo spunto per il viaggio cui è invitato il lettore sono alcune parole-chiave che Manguel sceglie nei brevi capitoletti del suo libro: una quarantina di pillole su correttezza, calma, tradimento, rinascita, tempo, ombra, … per affrontare il tema della traduzione.

La vita di Alberto Manguel è stata segnata da un incontro straordinario avvenuto quando era ragazzo, a sedici anni. Appena nato si era trasferito a Tel-Aviv dove il padre, diplomatico, fu inviato dal governo Peron nelle vesti di ambasciatore argentino nel neonato stato di Israele. Tornato a vivere a Buenos Aires, mentre frequentava le scuole superiori, Alberto iniziò a lavorare presso la centrale libreria Pigmalione nella capitale argentina.

Terminate le lezioni mattutine a scuola, andava in libreria e sotto la guida esperta di Lili Lebach, libraia tedesca, trasferitasi in Argentina dopo aver vissuto gli orrori del nazismo, che aveva fatto del Pigmalione un punto di riferimento per chi cercasse le nuove uscite europee e nord-americane, imparava il mestiere, ma soprattutto alimentava quella che sarebbe stata la passione di una vita: i libri.

Il Pigmalione a quell’epoca era frequentato anche da Jorge Louis Borges, all’epoca Direttore della Biblioteca Nazionale Argentina, che lì si fermava sovente al rientro dal lavoro alla biblioteca. Nel 1964, quando Manguel aveva 16 anni e Borges era sessantacinquenne, già colpito da una cecità pressoché totale – malattia di famiglia – il celebre scrittore chiese al giovane ragazzo della libreria di andare – quando ne aveva tempo e se non c’era di meglio da fare – a casa sua per leggergli dei libri.

Borges si era costruito una cerchia di lettori, ragazzi come Alberto, studenti universitari, giornalisti che incontrava per le interviste, altri scrittori che capitava di conoscere. Erano i suoi occhi per leggere, dal momento che la madre, ormai novantenne, non poteva più assisterlo nella lettura. Chiedeva loro di leggere libri, senza interpretarli, solamente scandendone le parole. Molti erano libri che Borges aveva già letto quando possedeva ancora la vista. Capitava poi di discuterne.

Fu così che Alberto Manguel entrò nel mondo dei libri con una guida eccezionale, ancor più straordinaria di quanto avesse avuto modo di assaporare in libreria. Per quattro anni, fino al 1968, tre o quattro volte a settimana, Alberto si recava a casa di Borges a leggere e parlare di letteratura in un’esperienza del tutto unica che ai suoi occhi di adolescente appariva tuttavia una cosa normale, un lavoretto trovato per caso, come racconta nel libro dedicato a quegli anni “Con Borges” (Adelphi, 2005).

Con questo bagaglio culturale Manguel lasciò l’Argentina nei primi anni delle dittature militari che ne avrebbero drammaticamente segnato la storia e iniziò una peregrinazione che lo porterà in Francia, Inghilterra, Italia, Thaiti, USA, Portogallo, stabilendosi tra tutti in Canada e acquisendone la cittadinanza.

Poliglotta (figlio di diplomatici, già da piccolo parlava abitualmente inglese e tedesco, acquisendo poi gli idiomi dei vari paesi in cui visse), scrittore, recensore, traduttore, editore, Manguel ha avuto a che fare con tutto ciò che riguarda la letteratura e l’editoria, un vero appassionato di storie e narrazioni di ogni luogo e di ogni tempo.

La sorte ha voluto che a distanza di cinquant’anni da Borges, Manguel stesso diventasse Direttore della Biblioteca Nazionale argentina, seppure la sua direzione sia stata funestata da molte polemiche che portarono alle dimissioni dopo soli tre anni.

Con “Il rovescio dell’arazzo” Manguel ci regala un altro piccolo gioiello letterario che dalle sue poche pagine ci rimanda alle tante altre pagine scritte dall’umanità nel corso dei secoli e di cui vorremmo nutrirci senza sosta.