Amore per la natura selvaggia
Tante storie
Prima di raggiungere la celebrità mondiale che ancora oggi lo addita come colui che con Spillover (Adelphi, 2014) aveva previsto la pandemia del COVID-19, per oltre vent’anni, lo scrittore di scienza e natura David Quammen ha viaggiato verso le destinazioni più remote della Terra, inviando appunti sul campo da luoghi intrappolati nella tensione tra gli esseri umani e la natura selvaggia. Ne emerge un quadro di meraviglia, fragilità e insostituibilità degli habitat animali più a rischio nel mondo.
Il cuore selvaggio della natura. Dispacci dalle terre della meraviglia, del pericolo e della speranza (Adelphi, 2024) presenta venti di quei racconti elegantemente scritti, originariamente pubblicati sulla rivista National Geographic e aggiornati oggi, con una nuova introduzione, postfazione e note che incorniciano ogni storia colorita e appassionata da alcuni dei luoghi più selvaggi del pianeta.
Quammen condivide gli incontri con elefanti africani, scimpanzé e gorilla (e insieme a loro l’etologa Jane Goodall che dedicò la sua vita a proteggerli nel loro habitat naturale); i salmoni della Russia nordorientale e le popolazioni il cui sostentamento dipende da essi, messe a rischio dalla caduta dell’Unione Sovietica per l’abbandono che ne seguì delle riserve naturali e l’avvento di imprenditori rapaci e bracconieri; i leoni del Kenya e gli abitanti dei villaggi le cui case confinano con parchi creati per preservare la specie; i sostenitori degli sforzi di rinaturalizzazione in Sud America, progettati per salvare giaguari e altre specie a rischio; o la vicenda di Mike Fay, un “bianco mezzo matto”, che, alla fine degli anni ’90, ha camminato per circa seimila chilometri attraverso le grandi foreste dell’Africa centrale per studiarne la biodiversità.
Per essere veramente selvaggio e sostenere il livello della metafora che dà il titolo al suo libro, un grande ecosistema deve nutrire una miriade di specie animali e vegetali e supportare una rete di processi naturali essenziali come la fotosintesi, l’impollinazione, la competizione e la predazione. In caso contrario, il battito cardiaco si ferma; la natura selvaggia muore.
Quammen si sforza di rimanere ottimista sul tema della conservazione e talvolta ci riesce, ma il futuro sembra incerto. Pericolo e speranza sono le due polarità richiamate nel sottotitolo tra cui si muove continuamente il libro. Sono soprattutto i soldi provenienti dalle nazioni più ricche a sostenere la conservazione nelle nazioni povere, ma molto deve essere speso per fornire ai loro cittadini lavoro, istruzione e infrastrutture. La diversità, a sua volta, richiede scalabilità e connettività. Se una zona selvaggia è troppo piccola e troppo distante da altri luoghi selvaggi, non può prosperare. E oggi le aree selvagge sono sempre più “circondate” dagli uomini e dall’antropizzazione. La biodiversità cede il passo all’urbanizzazione, alla costruzione di strade e cementificazione. La natura selvaggia vacilla, il suo battito cardiaco si indebolisce. Le risorse limitate di queste selvagge isole remote (circondate dall’oceano o dalla civiltà) possono sostenere solo un numero limitato di piante e animali, provocando estinzioni e diminuendo la diversità da cui dipende la natura selvaggia e, in ultima analisi, la sopravvivenza della nostra stessa specie.