Come diventare ricchi e famosi: i like ci uccideranno
MODENA – Dopo aver apprezzato negli anni Homicide house e Il generale, recentemente non eravamo rimasti così colpiti a proposito de L’estinzione della razza umana e su Dieci modi per morire felici ma con quest’ultimo Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro (prod. Autori Vivi, TS Torino, ERT Teatro Naz; visto al Nuovo Teatro delle Passioni di Modena), titolo wertermulleriano, Emanuele Aldrovandi (è il prossimo Stefano Massini) è riuscito a comporre un mosaico veramente intelligente, vivace e arguto, pungente e sarcastico, a tratti feroce, terribile e cinico, della nostra società. Lo paragonerei, cinematograficamente parlando, ad un amaro Virzì. L’autore di Reggio Emilia in questo periodo è sulla cresta dell’onda con il suo primo, bellissimo, romanzo Il nostro grande niente, edito da Einaudi. Questo “Come diventare ricchi” ci tocca tutti nel profondo perché parla di approvazione (i like dei social), di amore, di felicità, di successo e del conseguente denaro, dell’ottenere tutto e subito senza fatica perché ormai il lavoro è una pratica desueta e tutti vogliono godersi il tempo libero con il reddito di cittadinanza. Cinque grandi pannelli-alveari (il giallo domina i vestiti, il pavimento e appunto la scenografia essenziale e ingombrante) semoventi come ghigliottine o ascensori ci ricordano il refrain ambientalista che dice che quando spariranno le api di lì a poco si estinguerà anche l’umanità. Parlando di api ci è venuta in mente la locandina del film Le meraviglie di Alice Rohrwacher, con gli insetti che escono dalla bocca di una donna.
Il plot è complesso e stratificato in questo dramma che nelle sue parti più brillanti ci ha suggerito una vicinanza con le drammaturgie di Gabriele Di Luca di Carrozzeria Orfeo. La compagna (Serena De Siena come una novella Marilyn) dell’apicoltore (l’unico concreto e con i piedi per terra, Giusto Cucchiarini saggio e tosto) ha una figlia Emma che va all’asilo con Blu, la figlia non vedente di una famosa attrice e influencer che, guarda caso, si chiama Chiara (come la Ferragni in queste settimane sotto l’occhio del ciclone, Silvia Valsesia iconica come Linda Evangelista). Il piano diabolico e machiavellico è quello di invitare Blu alla festa di compleanno di Emma per far sì che l’attrice compri, ma più che altro faccia un video o un post di endorsement e sponsorizzazione, i quadri (disegnini) della seienne Emma per aprire un’asta on line con i proventi devoluti ad un’associazione per la salvaguardia degli Oceani. Tutto questo, sfruttando anche le buone cause sociali, per far diventare la bambina, e conseguentemente anche la madre, ricca e famosa e darle una vita più agiata della sua. Dopotutto anche Greta Thumberg è diventata un personaggio grazie alla causa green, così come Gino Cecchettin sta pubblicando libri, ha un ufficio stampa che ne cura le apparizioni (come da Fazio), parla al telefono con il Papa e forse si candiderà con il Pd alle prossime elezioni, dopo l’uccisione della figlia Giulia. Ognuno cavalca le disgrazie proprie o degli altri per emergere dalla massa indistinta e farsi paladino e portavoce dei diritti, che siano le donne, i bambini africani, la fame nel mondo, l’estinzione del delfino, l’inquinamento. I personaggi, più o meno famosi, fanno a gara per mostrare e associare il proprio volto a Telethon così comprando i loro prodotti anche noi ci sentiamo più solidali e vicini a questi temi.
Si parla di ambiente ma soprattutto del nostro ego contemporaneo di farsi vedere, amare, conoscere, di attirare follower spendibili successivamente per arricchirci in popolarità prima, sul conto corrente dopo. È una rincorsa verso il piacere forsennatamente agli altri, nel cercare le tecniche e le strategie per avere più mi piace, più pollici verso l’alto, per ingabbiare più seguaci attorno alla nostra figura, alla nostra persona e, ovviamente, ai prodotti che promuoviamo. Sta di fatto però che la bambina, una volta saputo della visita del suo mito in carne ed ossa, abbia ricoperto di vernice gialla i suoi scarabocchi rendendoli invendibili. In tutto questo gioco al massacro (echi visibili di Carnage) centrale diventa la figura del compulsivo nerd Carlo (esplosivo Tomas Leardini alter ego woodyalleniano dell’autore stesso, vagamente Lodo Guenzi o una sorta di Sheldon Cooper di Big Bang Theory), marito della sorella della madre di Emma, scacchista per lavoro, razionale all’ennesima potenza con zero empatia che snocciola il piano all’attrice svelando gli altarini del tranello. Da qui, oltre all’ambiente e ai social, inizia anche un’importante riflessione sull’arte contemporanea (e sul teatro), sulla quantità e non sulla qualità nei nostri tempi di notifiche, di Tik Tok e Only Fans, di compiacere, di depressioni, di amici virtuali, di ricerca ossessiva della visibilità, di essere costantemente quello che non si è, delle giovani generazioni che ritengono studiare una perdita di tempo perché basta un video stupido (spesso anche pericoloso come quello degli influencer che hanno ucciso con un suv un bambino in un incidente durante una diretta Instagram) per diventare, appunto, ricchi e famosi, di modelli sbagliati lucignoleschi. È la ricerca della felicità che oggi fa rima con il potere, con le possibilità, con la forza del denaro perché siamo costantemente bombardati dalle app dei nostri cellulari da persone che ci mostrano quanto sono belle, in forma, le prelibatezze costose che assaporano e i luoghi magnifici dove soggiornano e a noi non resta che invidiarli perché non ce li potremo mai permettere mentre ci stanno dimostrando che non serve studiare o lavorare perché a loro sono bastati pochi clic e che il gioco è semplice e loro sono fighi mentre noi siamo sfigati.
“Vorrei che tutti diventassero ricchi e famosi, così capirebbero che questa non è la risposta”, ha saggiamente detto Jim Carrey. Spesso sono proprio i genitori che fuorviano e instillano tali principi ai figli per senso di rivalsa verso la propria vita che è fatta di sacrifici e di poche gioie, senza considerare quale sia o possa essere la felicità della prole. La felicità se arriva tutta insieme non diventa gestibile, soprattutto la felicità senza sforzo né sudore non viene goduta a pieno: Paulo Coelho diceva che “Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia”.
Se si collega l’essere felici con l’avere gli oggetti è inevitabile, come ogni collezionista, cadere nel vortice nero della mancanza, dell’assenza, dell’insoddisfazione. Un testo intelligente che ci lascia attoniti e sbigottiti verso un futuro sempre meno vero, sempre più virtuale, sempre più infelice, depresso e addolorato. Diventare famosi sul web è come avere i soldi del Monopoli.