La morte nell’arte

Le riflessioni sulla morte non ci abbandonano mai, in particolare quando essa irrompe attraverso le immagini e le parole dei mass-media, come in questa fase di conflitti infiniti, sia quelli più lontani (ma cos’è lontano in un mondo globalizzato?), sia quelli addosso a noi. Quando essa entrava negli interessi degli artisti non era la ‘comare secca’, come quasi esorcisticamente viene popolarmente definita, ma il morire, specie quello solenne, quello esemplare, quello assoluto. Il sociologo inglese Geoffrey Gorer in The Pornography of Death spiega come la morte, a partire dal XX secolo, superate le esperienze espressionistiche, abbia preso il posto del sesso quale principale tabù e non fa eccezione il teschio diamantato di Damien Hirst, For the love of God, del 2007. Ben altro avevano espresso Goya e gli artisti del Seicento sull’argomento.
Per la mostra Attraversamenti, a Palermo nella Galleria regionale della Sicilia sono stati individuati opportunamente tre capolavori che presentano consistenti somiglianze, tra cui la presenza di cavalli, una cifra costante nelle iconografie del passato: Il trionfo della morte, La crocifissione di Renato Guttuso, già nello stesso Palazzo di Palermo e Guernica di Picasso, in una versione tessuta: un arazzo di Jaqueline De La Baume Dürrbach, suggestiva e, anche a detta dello stesso Picasso, molto fedele all’originale indisponibile per l’occasione. Esorcismo quindi, ma anche compassione; in un mondo che tende al superamento del trapasso, alla vita eterna, a seconda delle impostazioni culturali ed esistenziali, oltre che religiose, ci si affida all’arte per affrontare un evento che la lunga storia degli esseri viventi, ci dice ineluttabile. Le tre opere sono di due epoche diverse: l’una, Il trionfo della morte, tardomedievale, le altre più vicine a noi, degli anni ‘30 e ‘40 dello scorso millennio. Due autori di opere siciliane: Guttuso e l’anonimo, chissà se italiano o straniero, del Trionfo; spagnolo Picasso, ma tutti coinvolti in un dramma, si potrebbe dire identico.
Forti sono le analogie tra Il trionfo e Guernica: in entrambi la morte irrompe, irragionevolmente, a sconvolgere il corso naturale della vita, per molti aspetti felice: tra danze, amori, fiori e fontane zampillanti, nell’affresco palermitano; nel corso di una fiera, motivo di festa, per la città basca martire, sottoposta ad un bombardamento dell’aviazione tedesca che accomuna nella tragedia persone animali e cose, nella sintesi superba del pennello di Picasso. In fin dei conti, anche il supplizio di Cristo di Guttuso, didascalico e di accesa policromia, trasforma in tragedia una festa: la Pasqua ebraica. Chissà che non vi sia latente il messaggio che la distanza nel tempo degli accadimenti descritti con la potenza dell’arte, contiene il suggerimento a pensare che distanza nello spazio è relativa e può guastare la nostra festa?
Oggi pare che gli artisti abbiano un ritegno forte a rappresentare la caducità della vita, la sua fine. Certo, la morte non vende, ma forse non è l’unica ragione. Nella lunga sequela di eccidi e devastazioni durante un’epoca che avrebbe dovuto essere di pace, rare sono le attenzioni al tema.
Di tutt’altra natura, viene in mente, esemplare, Marina Abramovich. Con Balkan-Baroque (sull’argomento dedicherà altre 4 azioni) siede su 1.500 ossa di bovino, a Venezia nel 1997. La serba scaraventa nei pensieri degli osservatori gli effetti della guerra, che ha come primo risultato la morte. In cima al mucchio lei seleziona e raschia le tibie e i femori sanguinolenti di vitelli macellati, mentre la scena, che lei anima con una performance di ore e ore per sei giorni, senza alcuna sosta, è circondata da video, oggetti, odore che coinvolgono crudamente gli spettatori, cruente metafore di ciò che accade nel suo paese. L’opera le vale la palma d’oro della biennale d’arte lagunare, nonostante l’iniziale non accettazione del progetto. Ma il suo messaggio feroce scavalca i confini, stampandosi negli occhi e nelle menti delle persone, invano purtroppo perché la guerra dura ancora 4 anni, spargendo brandelli di corpi umani. La morte dipinta è vittoriosa, a Palermo, a Belgrado, a Guernica, a Bergamo, dove Guttuso ha esposto in un concorso la sua opera, durante l’ultimo (!?) conflitto mondiale, nel 1942. L’arte fa quello che può, forse non ferma la guerra, ma, si spera, allerta le coscienze.