Il pastore e la cuoca: salmo 23

Il SIGNORE è il mio pastore: nulla mi manca. Mi fa riposare in verdeggianti pascoli, Mi guida lungo le acque calme. Mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome. Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me;… Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca.

Angelo: Pastore è chi offre pastura. La cura profusa, che si mostra nei diversi gesti messi in atto, mira a nutrire. E il nostro salmo, che evoca una pluralità di immaginari simbolici, trova unità intorno al gesto di offrire un cibo che sfami e nutra. L’esterno dei verdeggianti pascoli e l’interno della tavola imbandita, la statica del riposo e la dinamica del cammino, il positivo delle acque calme e il tragico della valle dell’ombra della morte: esperienze opposte, «dono di un unico pastore», come dice il Qohelet, tutte attraversate dalla fame e dal gesto pastorale del nutrire. In fondo, è vero che noi siamo ciò che mangiamo e il Dio biblico è colui che desidera nutrirci. Lidia : È vero, tutta la Scrittura trova un filo rosso intorno alla questione di che cosa nutra la vita: è questo il tema, dal giardino di Eden all’albero della vita dell’Apocalisse. Anche il libro dei Salmi prende le mosse da «un albero che dà il suo frutto nella sua stagione», identificato con chi medita – ma potremmo anche tradurre mastica, gusta, rumina – la Torah, giorno e notte. Chi si nutre della Parola uscita dalla bocca di Dio diventa a sua volta nutrimento per altri, fa fiorire il sogno divino della vita buona. Angelo: Siamo affamati di vita, ma possiamo nutrirci di morte. Che cosa avvelena le nostre esistenze e ci lascia affamati o con i postumi di una grande abbuffata? Non ogni cibo ci dà forza, non tutto ci sazia. Ci disgusta l’ingiustizia, ancor più quando questa è legata alla fede, come quelle pratiche religiose che pretendono di nutrirci con il pane stantio di una parola biblica rappresa, lasciata cruda e scagliata come giudizio contro gli affamati. O se cucinata, rigorosamente su un fuoco moralista che la trasforma in un codice indigesto, troppo freddo e pesante per riscaldare e rallegrare. Lasciarsi nutrire dalla Parola richiede l’arte raffinata ed essenziale di una brava cuoca. Nella cucina divina, affinché la Parola torni a nutrirci, c’è bisogno del fuoco vivo dell’ascolto. Perché i diversi ingredienti del piatto sprigionino tutti i loro aromi, occorrono i tempi lunghi della cottura. La Bibbia, pane di vita, può tornare a nutrirci, se smettiamo di cucinarla con tutte quelle ricette che, lungo i secoli, l’hanno bruciata e avvelenata. Lidia : Essere nutriti nell’essenziale, fino a godere del banchetto come ospiti d’onore. Essere accuditi nella fragilità e difesi dai pericoli esterni; e insieme, riconoscersi invitati speciali alla mensa divina, ospiti d’onore, capaci di intrattenere il padrone di casa che per noi ha cucinato. O meglio, la padrona di casa che apparecchia, serve il cibo, unge il nostro capo. Nel salmo le due scene, quella esterna e quella interna, si richiamano rivelando due sguardi su Dio. Due immagini: una maschile ed una femminile. Dio è pastore, forte, vigoroso, in grado di proteggere la fragile creatura a lui affidata da ogni pericolo. Nessun lupo può sbranarci accanto a questo Dio; e l’orante si sente accudito, al sicuro nel camminare al suo fianco. Ma Dio è anche colei che, nella casa, apparecchia con raffinata grazia la mensa, che cura ogni dettaglio di quel pasto d’onore preparato per il suo ospite speciale. Angelo : L’orante, servito da quel Dio massaia, non è più la creatura indifesa da proteggere, ma l’ospite che dà senso alla fatica di quel banchetto, che gusta e giudica le prelibatezze preparate. Abbiamo bisogno di nutrirci anche di questo: immagini di Dio plurali, maschili e femminili. Il salmo precedente aveva lo stesso movimento: Dio raccontato come il liberatore dell’esodo e come la grande levatrice che accompagna la puerpera e accudisce il neonato. Nutrirci di queste immagini plurali di Dio significa ritrovare quell’alimentazione diversificata che permette all’orante di crescere e rafforzarsi nella fiducia.