La ferita e il canto
Pertini: l’amore politico
Erano condannati a morte dai nazisti nel carcere di Regina Coeli, ma lui tutte le sere metteva i pantaloni sotto il materasso per ritrovarli al mattino con l’impeccabile piega.
«Lui è stato un eroe!», dirà l’amico. «Anche con la piega dei pantaloni – continua – ci dava coraggio, pur se condannati a morte».
Sembrerebbe un dialogo surreale, vagamente teologico, che mette insieme la piega dei pantaloni e le “cose ultime”, uno strano ma provocante scenario escatologico. Un dialogo che può evocare facilmente il capolavoro di Beckett, Aspettando Godot.
Non sono però Didi e Gogo a parlare, ma Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, due futuri presidenti della Repubblica. Erano stati arrestati alla fine di un incontro con altri cinque e portati in carcere. Pertini ricorda l’assillante preoccupazione di Pietro Nenni, il capo dei socialisti, di liberare soprattutto “Beppino”, cioè Saragat. Perché Sandro è abituato alla galera, diceva. Non è difficile indovinare chi fosse, dei due, quello della “piega dei pantaloni”. Era Sandro Pertini.
Aveva ragione Nenni, Pertini era “abituato” al carcere e anche alle condanne a morte. Nel febbraio del 1933 aveva reagito alla richiesta di grazia della madre, scrivendo immediatamente al presidente del tribunale speciale: «La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi, a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme».
Per Pertini non era possibile dividere l’etica dalla politica. Ora una convinzione come questa sembra appartenere al mondo degli “eroi”. Nel suo libro Sei condanne, due evasioni Sandro Pertini racconta la sua storia in cui l’ideale politico, la lotta, la coerenza morale sono sostanza della sua vita.
un Natale particolare
In carcere incontrerà Antonio Gramsci e diventeranno amici. Pertini ricorda quando Gramsci chiese in carcere di passare il Natale in cella assieme a lui. Pertini sarà un eroe della Resistenza, tra i massimi dirigenti del Comitato di liberazione nazionale. Ha fatto due guerre, ma è convinto del totale fallimento della guerra. Nel ‘49 voterà in Parlamento contro il Patto Atlantico, come farà un altro padre costituente, Giuseppe Dossetti. Non lo vota, perché dirà: «è uno strumento di guerra». La guerra è contro il pane, contro la dignità umana. Lo ricorderà molto tempo dopo da Presidente della Repubblica: «L’Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame».
Passano gli anni e Pertini dopo due mandati come Presidente della Camera dei deputati è ormai in pensione. Ha 82 anni. Ma proprio in quel tempo il sole si eclissa e avanza quella che Zavoli chiamerà «la notte della Repubblica». L’Italia è devastata del terrorismo che sfocerà nel rapimento e nell’ uccisione di Aldo Moro. Anche il Quirinale in quei giorni sembra privo di autorevolezza e Giovanni Leone si dimette sei mesi prima dalla fine del suo mandato. Il Paese ha perso la fiducia nella politica, nelle istituzioni della Repubblica.
Non abbiamo bisogno di eroi, si dice. Ma se qualcuno è rimasto, meglio che si faccia avanti. Così Pertini diventa Presidente della Repubblica Italiana l’8 luglio 1978. Ha fatto parte della Costituente, la Repubblica l’ha sognata da condannato a morte. Il suo corpo ha la stessa pelle del corpo della Costituzione. È lì che bisogna arrivare ogni volta che arriva la notte. A quel mattino in cui nasce la Res Publica.
Succede anche oggi. Ed è li che bisogna tornare. Ma se qualcuno non ci torna, e quella Costituzione cerca di stravolgerla, è perché quella mattina non tutti c’erano. C’è un pensiero politico che non ha né creduto né fatto nulla perché quella Costituzione nascesse. Non ha la pelle della Costituzione, insomma. Anzi c’è una politica che si ispira ad una visione autoritaria e violenta alla quale la Costituzione si è opposta come antidoto. Nel 1960 Pertini scenderà in campo perché a Genova (medaglia d’oro della Resistenza) non si svolga il congresso del Movimento sociale italiano. In un discorso infuocato in piazza dirà: «Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni».
Pertini, eletto Presidente della Repubblica, dopo aver giurato, evoca la figura di Aldo Moro, e scandisce che se non fosse stato assassinato sarebbe stato Lui, Moro, al suo posto, come Presidente. Lo dice davanti a chi in quello stesso parlamento lo voleva morto.
In alcune culture, come quelle africane, si parla degli Antenati. Sono presenze viventi nella vita della comunità. Tornano nei tempi di crisi a indicare la strada. Non sono mucchi di ossa, ma uno spirito vivo, che veglia e risveglia.
il Presidente partigiano
Pertini appartiene agli Antenati della Repubblica, dunque.
Cosa aveva di così speciale il “presidente partigiano”? Aveva l’umanità della politica! Alcuni fotogrammi ce lo ricordano: Pertini che corre sul luogo in cui Alfredino Rampi è caduto in un pozzo. La sua presenza in quella situazione disperata è la metafora del suo essere in contatto con le viscere della terra, con l’umanità della gente.
Pertini che veglia su Enrico Berlinguer, devastato da una emorragia cerebrale durante l’ultimo comizio a Padova. Quando muore, sarà Pertini a portare il suo corpo sull’aereo presidenziale: «lo porto con me a Roma», dirà, «lo porto via come un figlio, come un compagno di lotta». Lo ringrazierà in piazza San Giovanni Nilde Iotti, in mezzo ad un oceano di occhi e mani. Resta negli occhi il suo bacio sulla bara di Berlinguer. Quell’atto di meravigliosa trascendenza che è l’inchinarsi davanti all’altro.
Torna sconvolto dall’Irpinia devastata dal terremoto e a reti unificate denuncia i ritardi, i mancati stanziamenti per le calamità “naturali” approvati in parlamento. Si domanda se coloro che sono responsabili di questo sono «in carcere come dovrebbero essere». Provoca un terremoto politico.
È consapevole che la politica autentica nasce dalla cultura, dalla difesa della Costituzione, dalla lotta delle donne, dal pensiero critico, dalla letteratura, dal teatro. È un’architettura che disegna nominando senatori a vita: Leo Valiani, Camilla Ravera (la prima donna senatrice a vita) Eduardo De Filippo, Carlo Bo, Norberto Bobbio.
Pertini imbarazza la politica del potere. Ma non è lui, come qualcuno vorrebbe, “la scheggia impazzita”. Lui è piuttosto la “nota stonata” necessaria dentro il solenne concerto dell’ipocrisia. Pertini insomma non è una anomalia della politica, ma la parte più sana in un corpo colpevolmente malato.
I vecchi con cui giocavo a carte in paese, tutti reduci della guerra, bestemmiavano la politica, ma salvavano Pertini. Lui è diverso, dicevano. A lui si può credere. Perché in fondo era uno di loro. Poteva starci anche lui, a giocare a carte, e aveva gli stessi occhi limpidi.
Dov’è Pertini? Certo nell’immaginario collettivo, con la sua immancabile pipa, nella canzone di Cutugno che canta «un partigiano come presidente», nella felicità di un memorabile mondiale di calcio, in Spagna, in cui l’Italia vince….
Ma il luogo in cui vive Pertini, la casa in cui abita, è la stessa nella quale è sempre rimasto: la coscienza; che si indigna, protesta, disobbedisce, canta e si innamora.
Quando Mattarella dice: «l’autorevolezza non si misura con i manganelli… Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento», Pertini sussulta, respira, ritorna. In un tempo in cui la libertà è messa alla prova la lezione di Pertini è necessaria come l’aria.
Questo è il momento di essere tutti IN-PERTINENTI…