Pensare al dopoguerra

Meno male che Kissinger ha cento anni, perché se ne avesse cinquanta di meno farebbe dell’Ucraina un Vietnam, dettando tutto da solo le scelte della politica estera americana, come oggi dice di aver sempre fatto in passato. Del suo secolo di vita c’è stata una gara a ricordare i trionfi, tacendone però le sconfitte, a cominciare dalla passione della sua vita, la «diplomazia della restaurazione», che non è riuscita a rifare un mondo come quello, amato da lui, uscito dalla pace di Westfalia.
Il Vietnam costò agli Stati Uniti 60.000 morti e 153.000 feriti, per non parlare dei milioni di Vietcong e civili vietnamiti che in quella guerra persero la vita. Ma Biden nonostante le promesse di sostenere l’Ucraina fino alla fine, si guarda bene dal farne il suo Vietnam, e per suo mezzo debellare la Russia, colpevole di «una guerra brutale e immotivata». Il supporto incondizionato a Kiev si sta rivelando come un bluff, nel momento in cui l’Ucraina, illusa dalla schiera dei suoi alleati di poter vincere la guerra contro la Russia, si accorge che questo è impossibile e non ha come uscirne: deve rinunziare all’annunciata controffensiva di primavera, non riesce a riconquistare le terre irredente, non ha la strada dei negoziati che essa stessa ha precluso, né può dettare la pace alle sue condizioni, come le fanno credere, blandendola, i suoi partners europei; e allora passa a forme di guerra non convenzionale, che per i Grandi è l’atomica, per i deboli e gli sconfitti è il terrorismo. È in questa logica che si mette in conto di uccidere Putin, si attacca Mosca con i droni, si fanno saltare i ponti, si bombarda il Nemico oltre il confine ma, chissà da dove, e l’Ucraina stessa dice che si tratta di terrorismo, ma che non è il suo.
Ma a questo punto a entrare in crisi sono gli Stati Uniti, che del terrorismo hanno fatto il loro nemico assoluto. Dopo il trauma delle due Torri essi hanno ingaggiato uno scontro epocale con gli Stati terroristi, detti «Stati canaglia» o «Stati zizzania», dall’Iran all’Afghanistan, e ora si trovano a sostenere e a finanziare uno Stato che si gioca tutto per tutto fino al terrorismo. Per l’America questa è una cosa contro natura, come del resto sarebbe contro natura per gli Stati Uniti giungere a uno scontro armato e finale con la Russia, come essi stessi hanno dimostrato con ben diversa sapienza durante tutto il corso della guerra fredda: e ci sono illustri reduci di quella vecchia America che ormai lo gridano sui tetti lanciando appelli alla diplomazia sul «New York Times». Proprio perché credono all’Armageddon, gli americani non ci vogliono passare.
Se finisce il bluff del «morire per l’Ucraina», finisce anche il bluff, o l’illusione, del «nuovo secolo americano» e dell’Impero globale dominato dagli Stati Uniti, che non dovevano essere superati, ma nemmeno eguagliati, come dicevano, da alcuna altra Potenza.
Possiamo così sperare che il conflitto in Europa si concluda, o col cambio di regime in Ucraina e un armistizio, come avvenne da noi con Badoglio, o con un negoziato, come da tutti noi sperato, prima che il suo contagio si diffonda o degeneri in una guerra mondiale, secondo l’avvertimento che viene dal Kossovo.
Ma, tanto più dopo questa tragedia, per noi è troppo poco che questa guerra finisca, innescando magari un lungo periodo di guerra virtuale e di «competizione strategica» fino alla «sfida culminante» con la Cina, come minacciano i documenti sulla «Strategia nazionale» degli Stati Uniti. Dobbiamo invece uscire dal sistema di dominio e di guerra e passare a un’altra idea del mondo, come un molteplice mondo di mondi in relazione tra loro, fondato sulla pace, sulla cura della Terra e sulla dignità di tutte le creature.