FRANCESCO 2013-2025
La forza simbolica

Lavoravo come operatrice nel centro di prima accoglienza della Caritas diocesana di Assisi quando Bergoglio divenne pontefice. Quel 13 marzo 2013 ero rimasta insieme agli ospiti della casa dopo cena a seguire in tv l’esito del conclave. Ricordo nitidamente il coro di voci che si levò appena ascoltammo il nome scelto dal nuovo papa. Francesco, proprio per il nostro Francesco di Assisi, suonò ad alcuni entusiasmante, ad altri, tra i quali io, quasi dissonante, una specie di ossimoro nel quale si ponevano uno accanto all’altro il sostantivo che identifica il vertice della gerarchia ecclesiastica e il nome proprio del “minore” per antonomasia. Mi chiesi il vero senso di questa “strana” scelta e decisi che avrei messo alla prova la coerenza di questo nome con ciò che Bergoglio avrebbe fatto da lì in poi.
Tempo un paio di mesi ed iniziò a circolare nel centro di accoglienza la voce che il papa sarebbe venuto ad Assisi proprio per la festa del santo, il 4 ottobre 2013. Ma nel classico protocollo seguito dai precedenti pontefici ci sarebbe stata almeno una significativa variazione: Francesco aveva chiesto esplicitamente di non partecipare al pranzo solenne allestito presso il Sacro Convento insieme al suo seguito ed al resto degli ospiti illustri. Voleva pranzare con i poveri. Il luogo che si stava valutando come il più adatto all’occasione e alla richiesta sembrava essere proprio il nostro centro.
Di nuovo mi chiesi il senso di questa decisione. Non nego di aver nutrito inizialmente il sospetto che si trattasse di un gesto programmato per “colpire” l’attenzione, una sorta di colpo ad effetto. D’altra parte nessuno di noi sapeva cosa ci si potesse attendere da uno come Bergoglio, personalmente non ne avevo neanche mai sentito parlare. All’inizio di un pontificato… chi può sapere che piega prenderanno gli eventi? Per quali strade la Chiesa verrà condotta? Ora, con il senno di poi, devo dire che papa Francesco iniziò subito con gesti potenti una lunga ed autentica strada fatta di vere aperture d’orizzonte, di variazioni e di “rivoluzioni”. Ma allora non potevo immaginarlo.
Arrivò, dunque, il 4 ottobre: gli ospiti del centro di accoglienza si erano preparati, ciascuno a suo modo, all’incontro. Io impaziente e sospettosa al contempo: non avrebbe mica fatto un discorso del tipo “la Chiesa è vicina ai poveri etc etc…”?! Speravo onestamente di no. Ed accadde con mia meraviglia che il papa arrivò nella sua piccola utilitaria scura, entrò in silenzio ed in silenzio rimase per tutta la durata del pranzo. Nessun discorso retorico, nemmeno il suono della sua voce nella sala del pranzo (in foto). Una piccola sosta nella cappellina, il saluto personale dato a ciascuno degli ospiti facendo il giro di tutti i posti, poi un pranzo semplice e dimesso mentre qualcuno degli invitati si alzava e diceva… qualsiasi cosa gli venisse in mente! Da fuori risuonavano i cori delle centinaia di persone in attesa. Dentro, invece, un clima di silenzio sommesso, un pasto “quotidiano”. Questo fu. E bastò a dissipare i miei sospetti.
Ed ora che il pontificato di papa Francesco è giunto al suo termine, ora che tutti lo ripercorriamo e ce lo raccontiamo a vicenda cercando di distinguere tra tutto ciò che più ci è rimasto nel cuore, a me sembra che la prima e più efficace forza sia stata quella simbolica. L’eloquenza dei sottomessaggi era più dirompente dei messaggi. La chiarezza dei gesti più limpida delle parole. Credo siano stati proprio questi a raggiungere coloro che delle parole di un papa non si sarebbero mai interessati. E senza quella forza simbolica così incisiva e coerente temo che anche le parole si sarebbero sciolte senza sortire “effetti speciali”. Invece ci hanno ricordato il Vangelo!