FRANCESCO 2013-2025
Il magistero dei segni

Forse è possibile tracciare un bilancio del pontificato di papa Francesco posto tra le due più significative apparizioni dalla loggia della Basilica di San Pietro. La prima e l’ultima. Tra quella sera del 13 marzo 2013 e quella mattina di Pasqua del 20 aprile 2025. Tra quel “buonasera” che indica uno stile e una relazione completamente nuova da parte del vescovo di Roma col popolo di Dio e quel discorso Urbi et Orbi che assume ora valore di testamento. Tra quella inusitata richiesta di benedizione rivolta al popolo radunato per festeggiare la sua elezione e il silenzio dell’addio in cui solo la presenza si fa parola insieme al discorso preparato che è dato in lettura al cerimoniere pontificio. Ripensare i dodici anni bergogliani in questo modo ci dà spazio per parlare dei gesti di papa Francesco, molto più eloquenti, comprensibili e intellegibili a diversi livelli, delle parole che ha pronunciato. Il magistero dei gesti ha colto impreparati gli intellettuali abituati e collaudati a fare l’analisi – logica e teologica – delle parole, ma ha visto i poveri, gli illetterati, il popolo di Dio, attenti e pronti a cogliere una sintonia (o una comunione più forte?) con il papa argentino. Quasi un’eco del discorso/preghiera di Gesù ripreso in Matteo 11,25: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te”.
IL SESTO SENSO DEI POVERI
Peraltro Bergoglio si era rodato più che a sufficienza nelle Villas miserias delle estreme periferie porteñe dove la gente non è disposta ad ascoltare e comprendere discorsi articolati e pieni zeppi di parole difficili condite di dotte citazioni, ma apprezza molto la forza dei gesti, il calore e la passione del protendersi verso e la convinzione (non la formalità) con cui vengono messi in atto. I poveri, in particolare, sono dotati di una sorta di senso per capire chi ci crede davvero e chi invece sfila su un palcoscenico o una passerella. Per Aristide Fumagalli – ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica di Milano –, “il modo di abitare la Chiesa e il mondo che traspare dai gesti e dalle parole di papa Francesco prospetta una forma teologica più vivamente espressiva del contenuto essenziale del Vangelo. Corrispondendo al principio di concordanza tra la forma e il contenuto, la sua teologia non si riduce all’insegnamento dottrinale ed esprime piuttosto uno stile di vita”. Quelli di Francesco non sono mai stati gesti qualsiasi. Per dirla con le parole di chi forse l’ha conosciuto meglio di chiunque altro, il teologo gesuita Juan Carlos Scannone, suo punto di riferimento teologico (la teologia del pueblo) e spirituale: quelli di papa Francesco “sono tutti gesti teologici e sacramentali”, densi di significato, che rimandano ad un’immagine di Chiesa capace di trasformare ogni cosa perché tutto (strutture, linguaggi, comportamenti) diventi un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale. Gesti che hanno scritto pagine memorabili di magistero e di testimonianza evangelica. Punti di non ritorno per chi verrà dopo di lui.
QUALCHE NOTA PERSONALE
Quando nel 2011 lo incontrai a Buenos Aires, arcivescovo di quella diocesi, rimasi colpito proprio da quel tratto che lo portava a mettere al centro le vittime dell’esclusione in tutte le sue espressioni. Mi affascinava il suo tratto di immediatezza, ovvero la rinuncia a ogni sorta di mediazione di tipo diplomatico o di galateo ecclesiastico. Quando, accompagnato dal responsabile diocesano per la Pastorale sociale, andai ad incontrare il cardinale Bergoglio, fu lui a venire ad aprire la porta e a condurci attorno al tavolo della cucina per un incontro che si prospettava e si realizzò nella modalità più informale possibile. Parlammo con molta franchezza delle questioni per le quali mi trovavo in Argentina e poi divagammo su tante altre cose. A fare da sfondo c’era un’atmosfera di solare cordialità e un buon umore con cui riuscire a condire anche le riflessioni più acute. Anche gli altri incontri a tu per tu avvenuti dopo la sua elezione a papa, di cui rendo grazie a Dio, hanno avuto lo stesso tenore. Ricordo che in quel primo incontro del 27 giugno 2013, dopo aver ragionato su varie questioni, sulla soglia della saletta di Santa Marta in cui ci eravamo riuniti, confidò sotto segreto che stava pianificando la sua prima visita pastorale. A Lampedusa. Aggiunse che sarebbe andato sull’isola siciliana senza pronunciare discorsi e semplicemente abbracciando le persone migranti. E siccome avevamo parlato di don Tonino Bello e io gli avevo detto che amava ripetere che “a coloro che ostentano i segni del potere, dobbiamo mostrare il potere dei segni”, mi ripeté quella frase quasi a sottolineare la forza del gesto che intendeva porre in atto.
SIN DAL PRIMO MOMENTO
Non dimentichiamoci che tutto cominciò quella sera con un “buonasera”. Si era affacciato alla loggia con gesti privi di atteggiamenti ieratici, con l’essenzialità e l’immediatezza di un semplice e sobrio vestito bianco senza la mozzetta rossa bordata di ermellino e poi arrivò quel saluto. Un saluto semplice e ordinario, che non aveva nulla a che fare con la liturgia o la solennità del momento, nemmeno parente lontano della sacralità con cui si è soliti condire anche l’ordinarietà della vita in ecclesiastichese. Buonasera è buonasera e la gente, anche quella semplice, anche quella lontana dalla pratica religiosa, lo capisce. È un gesto di buona educazione, e non è poco e non è scontato. È un mettere in evidenza l’umanità della relazione che inizia. Infatti diventa quanto mai utile e comprensibile rileggere oggi le parole che seguirono perché sembra che racchiudano esattamente il senso del suo pontificato: “E adesso incominciamo questo cammino, vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa che oggi incominciamo – mi aiuterà il mio cardinale vicario qui presente – sia fruttuoso per la evangelizzazione di questa sempre bella città… Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore. Prima che il vescovo benedica il popolo io vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. E qui il papa si china e il suo chinarsi è sicuramente un prostrarsi davanti a Dio ma anche un piegare il capo davanti al suo popolo. In quel momento e con quel gesto Francesco sta portando la teologia del pueblo, nella quale ha fermamente creduto fino all’ultimo istante di vita, al punto più alto possibile. Ancora una volta non lo fa con una lezione frontale, non dalla cattedra dell’accademia o dal trono pontificio ma dal basso di un gesto che comunica a un livello di profondità che non sempre le parole riescono a raggiungere.
UNA LITANIA DI GESTI
Sono segni che toccano l’anima. Solo in quei primissimi giorni pose gesti che ancora fanno discutere: la scelta di abitare non al piano superiore di un palazzo barocco ma a Casa Santa Marta, un edificio costruito alla fine del XX secolo, non tanto per una questione di sobrietà ma più semplicemente per una personale esigenza psicologica di socializzare con altre persone; il 14 marzo, giorno dopo l’elezione, si reca in via della Traspontina per saldare personalmente il conto con la Casa dove ha alloggiato prima del conclave; il 18 marzo saluta con un bacio la presidentessa argentina Cristina Kirchner; il 19 marzo invia l’invito a Bartholomeos, patriarca ecumenico di Costantinopoli, di partecipare alla liturgia inaugurale del ministero petrino, cosa che non accadeva da mille anni; il Giovedì santo – 28 marzo – presiede la celebrazione della liturgia In coena Domini nel carcere minorile di Casal del marmo e include due ragazze nel gruppo della lavanda dei piedi. Una delle due era musulmana. Si potrebbe continuare all’infinito con una litania dei gesti che raccontano un pontificato, una visione di Chiesa, un’idea di mondo rovesciato, un mondo nuovo.