L'editoriale
La bussola della Costituzione
La democrazia non attraversa un buon momento. La fatica del confronto, i tempi che richiede, le modalità attraverso cui avviene, sono avvertite con insofferenza da chi detiene le leve del governo e talvolta con indifferenza da chi avverte che le scelte, sempre più spesso, sembrano essere obbligate da vincoli esterni, da ferree logiche di mercato, da poteri lontani e invisibili, motori immobili che tutto muovono e da nulla sono mossi, come il dio di Aristotele. E poi il potere del popolo richiede che un popolo ci sia e non una costellazione atomizzata di individui e di interessi.
La parola popolo è divenuta peraltro un termine malato esposto alla deriva populista piuttosto che alla riva popolare. Insomma, un popolo che ha bisogno di un capo dietro cui fare la coda. La democrazia del capo e della coda senza un corpo di organizzazioni sociali, di associazioni, di istituzioni, di poteri ben bilanciati, capaci di vivere nella partecipazione e nel senso di una comune cittadinanza, rischia di diventare un simulacro formale, un sepolcro imbiancato. C’è voluto un Papa per dire con chiarezza che la democrazia richiede allenamento, partecipazione, attenzione al bene comune, cura della polis. Le parole false e bugiarde che semplificano ciò che è complesso, che irridono allo spirito critico, che basta che scegliamo uno per comandare oh yeah, cercano di arrivare alla pancia della ggente. E quasi sembra di cogliere una estesa nuvola di accidia collettiva che impedisce di decrittare bene e di contrastare il disegno di coloro che coltivano l’idea di una progressiva riduzione degli spazi democratici. Anche in questi mesi, ogni volta che la Chiesa ha alzato la voce per la pace, per la difesa della democrazia e il suo rinvigorimento, per il governo e l’integrazione degli immigrati è stata oggetto di sprezzanti rimbrotti. Come dire: state al vostro posto, zitti e buoni che è un altro il terreno su cui trovare un accordo! E certo la Chiesa stessa, in tanti momenti storici, ha dato prova di approdare a questo terreno d’intesa. Allora bisogna render chiaro che i cristiani non sono nati per pettinare gli angeli ma per curare i corpi, per essere voce di coloro che non l’hanno, per disegnare il bene comune a partire da lì, per organizzare la speranza in una società che tenga insieme uguaglianza e libertà e che denunci tutto ciò che indebolisce o esclude l’uguaglianza e la libertà. I cristiani, è stato detto autorevolmente, non hanno bisogno di un loro partito ma è bene che abbiamo un loro spartito attraverso il quale uscire dall’afonia e dare corpo e anima allo spazio pubblico.
Uno spazio pubblico che sia attivo non solo negli appuntamenti elettorali (ma cavoli, almeno fateci scegliere i nostri rappresentanti!), ma che viva nella cooperazione e nel conflitto per difendere ed estendere diritti e anche il senso di un dovere civico verso i beni comuni, la cura dei più fragili, la rimozione delle cause dell’esclusione e dell’emarginazione sociale. Non basta essere solerti crocerossine di un sistema sociale da cambiare. Fare la rivoluzione? No, attuare la Costituzione. La nostra Costituzione può essere davvero non solo una cornice ma un vero e proprio programma.
Prima di modificarla cerchiamo di attuarla. A partire da questa convinzione abbiamo avviato un confronto approfondito sulle proposte di premierato, di autonomia differenziata (o indifferenziata?), di riforma della giustizia (o della magistratura?) imposte dal Governo senza alcuna iniziativa e alcun serio confronto parlamentare. Sembra dominare l’urgenza di rottura della continuità con la stagione costituzionale e di uno strappo con i principi essenziali da cui è nata la Repubblica.
Nel merito troverete in questo numero contributi molto importanti di Caselli, Fassina e Gaiardoni. Continueremo a discutere cercando di dare un apporto quanto più chiaro e argomentato a un confronto destinato a coinvolgere passioni e competenze dell’intero Paese.