Politica italiana
Berlusconi, la morte, la politica, la sinistra
Trilussa, con il suo impareggiabile ironico sarcasmo, diceva che l’uomo nasce pieno di virtù che nello scorrere della vita perde, a poco a poco, ma, alla fine, le ritrova tutte sulla sua tomba.
Questo è quanto accade a Berlusconi: si assiste in questi giorni a un insopportabile panegirico da parte non solo dei suoi accoliti, ma un po’ da tutto il mondo politico italiano (Conte è tra i pochi non accodati), dai giornalisti, dalle sei TV governative a reti unificate e non solo, fino allo scempio del lutto nazionale con funerale di stato in pompa magna, accompagnato da una solenne liturgia nel duomo da parte di una chiesa milanese che pare sottomessa alle lusinghe del potere.
Non vorrei accodarmi a tanta opportunistica ipocrisia. Certo Berlusconi ha cambiato profondamente la politica italiana, ma il cambiamento di per sé non è stato positivo. L’ha cambiata in peggio!
“Non mettere le mani nelle tasche degli italiani” fu il suo slogan più riuscito ed efficace nell’enfatizzare la già scarsa propensione italica al pagamento delle tasse. Non a caso siamo il popolo più evasore d’Europa e oggi si vedono le ulteriori derive del suo esempio, con la politica fiscale di questo governo di figli e nipoti (dicono di non mettere le mani in tasca ma obbligano, chi le tasse le paga, a mettere le mani nelle proprie tasche per pagare la sanità).
Certo lui ha cambiato profondamente la cultura e la stessa società del Paese, ma l’ha cambiata in peggio!
Il suo ruolo è stato deleterio perché, proprio nel momento in cui il popolo italiano, prima e subito dopo tangentopoli, pareva risollevarsi dal degrado morale, le sue TV ci hanno inondato di falsi miti, di elogio della ricchezza facile, di disprezzo verso i poveri. Ha assecondato e fatto esplodere gli istinti peggiori della plebe, ha, come dice Vito Mancuso, sostituito Dio con l’Io. Il narcisismo è diventato una questione di stato, la menzogna modus vivendi (il libro azzurro del ‘94 imposto a tutti gli italiani). Berlusconi è stato da sempre un grande venditore, non solo di fumo! Per lui tutto il mondo e le persone che lo abitano sono un immenso mercato dove, se sei furbo, fai soldi a palate, hai successo, metti le donne ai tuoi piedi. E così la sua figura ha giganteggiato in compagnia delle peggiori figure degli ultimi quarant’anni. Per tacere delle sue “virtù civiche”. Chi ha poca memoria potrebbe cercarne l’elencazione sui giornali: P2, mafia, frode fiscale, bunga bunga, ecc.
Ma non si può dimenticare il Berlusconi empatico che catturava non solo gli amici. Quanti sono sinceramente affranti a causa della sua morte improvvisa: gli amici. Ecco una virtù di Silvio. Lui gli amici non li ha mai traditi, semmai è stato tradito. Aveva una concezione dell’amicizia che si potrebbe dire primordiale o, forse meglio, naturale, quasi sacrale.
E neppure vorrei accodarmi alla denigrazione fine a se stessa, ma evidenziare anche i chiaroscuri. Berlusconi era un profondo conoscitore dell’italiano medio e si è messo sulla sua lunghezza d’onda, per questo è stato un uomo di successo, un grande comunicatore, forse il vero, primo e impareggiabile populista italiano, un politico in alcuni casi persino lungimirante (il tentativo di favorire accordi tra USA e Russia a Pratica di mare e, ultimamente, il suo schierarsi a favore della pace nel conflitto russo ucraino, non importa perché).
Tirando le somme si può dire che, se da un punto di vista politico – sociale – culturale la sua scomparsa è una liberazione, da un punto di vista umano non si può non provare una umana e cristiana misericordia. In fondo, a ben guardare, Berlusconi è morto vittima di se stesso, della sua immagine, del suo personaggio; fino alla fine è stato fedele a un cliché, quello che tutti si aspettavano. Non è possibile sapere se nell’intimo questa cosa si sia almeno per un attimo incrinata e se lui si sia chiesto se fosse questo il modo migliore per onorare la vita. Spero sinceramente che questo ravvedimento sia avvenuto.
Berlusconi lascia un paese allo sbando, che rifiuta la politica e sembra perdere ogni senso civico ed etico, un paese cinico, senza speranza, sempre più diseguale, pieno di giovani delusi e dileggiati da un governo che non perde occasione per criminalizzarli.
In questo difficile frangente della nostra storia in cui la sinistra dagli anni ‘90 ha perso gradatamente tutti i connotati per adagiarsi sulla scia del neoliberismo e dell’opportunismo antiberlusconiano, come riprendere in mano il futuro e diventare risorsa per un paese che ne ha assoluta necessità?
Mi chiedo se la crisi della sinistra (genericamente intesa) non sia dovuta almeno in parte a una regressione dei valori ritenuti, evidentemente a torto, fino a non molto tempo fa patrimonio irreversibile della maggioranza del popolo italiano. Ancora negli anni ‘80 la democrazia, la partecipazione, il voto, la solidarietà, l’importanza della cultura e della scuola, ecc. erano (sembravano?) elementi assodati. Poi con l’arrivo del berlusconismo consumista e facilone, del neoliberismo all’italiana, importato dal mondo anglosassone, tutto questo è stato lentamente e inesorabilmente messo tra parentesi, mentre si è affermato un individualismo sempre più grezzo e una diffusa sottocultura che ha invaso soprattutto i ceti medio bassi (libertà intesa come fare ciò che ti salta in mente e fregarsene degli altri). Di fronte a questo fenomeno la sinistra ha seguito Berlusconi credendo che un’immaturità diffusa (me ne frego) possa pagare anche a sinistra con il menefreghismo consumistico. Così ha proceduto come se tutto fosse fermo ai passati “anni nobili” (resistenza e ricostruzione non solo economica del Paese) insistendo sulle pure idealità e ha continuato a inondare le persone di questi temi, incurante del legame stretto che questi ideali hanno con i problemi reali quotidiani che coinvolgono la gente comune, costretta a fare i conti con una crescente marginalizzazione economica e sociale. I vari Fazio, Saviano, e molti altri, nella Rai, sui giornali, nell’editoria, pur volonterosi divulgatori, hanno continuato a lavorare in quella direzione, senza saper tenere insieme i due fenomeni culturali ed economici, cioè i valori con i bisogni, mentre la gente, delusa, gradatamente andava altrove.
Domande assillanti per le prospettive dei giovani. Vediamo il tentativo di Elly Shlein rischiare la palude, paralizzata dai tanti renziani e simil genia rimasti nel PD a ostacolarne il processo di recupero dell’anima popolare in chiave post moderna. E neppure appare chiaro se lei è veramente portatrice di una nuova visione in grado di riscaldare gli animi delusi. Peraltro, non si può ignorare che il patrimonio elettorale portatore della vittoria della Shlein è costituito in gran parte da funzionari pubblici o privati, intellettuali, professionisti della cultura, studenti, tutte persone, come dice Stefano Fassina su Rocca 11/23, “non soltanto culturalmente ed economicamente, ma quasi antropologicamente altro rispetto alle sofferenti periferie sociali finite nel M5S, a destra e, sempre più, nell’astensione”.
Anche il Movimento cinque Stelle, pur liberatosi al suo interno dell’ipoteca della destra, fatica a trovare una visione consona ai tempi che stiamo vivendo. La decrescita, che pareva una cifra coinvolgente e innovativa di cui era sostenitore agli esordi, sembra ristagni, e risenta della criminalizzazione attuata dalla cultura dominante. L’indubbia buona volontà di farsi carico del disagio che percorre il paese non basta. Solo il papa, sembra capace di volare alto. Il resto è buio.
Molti pensano che i “progressisti” debbano concentrare i loro sforzi innovativi facendosi paladini degli ultimi e dei penultimi danneggiati dalla pandemia, dalla speculazione, dall’inflazione e dalla guerra. Intento sacrosanto e condivisibile, ma non sufficiente. Non basta un puro materialismo dei diritti, sociali o civili che siano, da rivendicare spesso con lucida, fredda razionalità priva di pathos né, tanto meno, trasformare le pretese in diritti civili, tipico del liberalismo incarnato dai radicali. Ritengo vano cercare una riscossa senza la capacità di immaginare una nuova narrazione, una mitologia, si potrebbe dire una religione, in grado di attrarre le folle deluse, disperse e sbandate. Il puro dato economico non basta. Occorre coinvolgere le coscienze non con i falsi miti oggi dominanti, ma con il coraggio di scavare dentro i bisogni profondi della nostra umanità, far leva sui sotterrati valori universali, (libertà non libertinismo o liberismo) strettamente uniti ai bisogni essenziali del popolo, sottraendoli alla manipolazione della destra. Fare un’ardita operazione di negazione totale e assoluta del mito berlusconiano, perseguito dal governo, che tutti abbiamo assimilato, abbandonando definitivamente l’idea che per essere contemporanei occorra essere immaturi, beceri consumatori, vittime di una supposta, effimera libertà.
Il cristianesimo avrebbe valori civici e soprattutto spirituali capaci di guardare in alto pur rimanendo con i piedi ben ancorati a terra, ma purtroppo pare avviato verso un lento declino. Specie le nuove generazioni, non sembrano interessate alla religione strutturata, malgrado apprezzino la figura del papa.
Allora bisognerà cercare altri paradigmi spirituali – valoriali? Difficile da dire, ma qualcosa bisognerà pur fare per non restare impantanati nell’attuale situazione. Forse l’unica possibilità consiste nel rimettere al centro i valori fondanti della nostra costituzione sempre più disattesi nella loro pratica attuazione (sia storici: libertà, legalità, fraternità, sia attuali: più lento, più profondo, più dolce nella declinazione di Alex Langer) e guardare fuori da noi. I migranti! I migranti sarebbero la mossa del cavallo se non fossero considerati come merci e/o pericolosi invasori, ma come esseri umani da porre alla pari con i cittadini italiani, soggetti di diritti e di doveri. Un Paese in declino, che coltiva istinti di morte, senza slanci ideali, può essere rivitalizzato e fatto nuovo solo da chi possiede energie vitali e le possiede in abbondanza ed è oggettivamente portatore di novità. Noi abbiamo bisogno di loro quanto loro hanno bisogno di noi. Accogliere consapevolmente la migrazione come evento catartico, portatore di vita. L’impero romano fu salvato dai barbari grazie alla lungimiranza della politica imperiale che, per quanto decaduta, seppe lanciarsi verso il futuro. Noi dovremmo provare a fare altrettanto. Questo sarebbe il compito dei progressisti, in particolare di una sinistra pensante e amante del popolo: probabilmente qui troverebbe anche la chiesa…
Una lunga traversata del deserto pericolosa e faticosa, ma decisiva.