L'editoriale
Cipputi si è iscritto al sindacato pensionati?

In questo numero siamo voluti tornare su alcune questioni che riguardano la vita quotidiana delle persone, quella materiale che poi è anche spirituale: dalla situazione di bassi salari (e stipendi), al lavoro povero e precario, all’aumento delle tariffe energetiche che colpisce duro i ceti medio-bassi e crea enormi difficoltà alle imprese. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo per contrastare una narrazione a tinte rosa sulla condizione dell’occupazione e del lavoro nel nostro Paese che prescinde totalmente dalla sua qualità e dalla capacità di assicurare una condizione di vita dignitosa. A ciò peraltro bisogna aggiungere la drammatica condizione in cui è stato ridotto, non solo dalla destra che fa il suo mestiere ma anche da una sinistra che non ha fatto il proprio, quello che era uno dei migliori Servizi sanitari europei, fino a qualche anno fa in grado davvero di garantire prestazioni universali di livello e qualità spesso eccellenti. Così nel Paese delle meraviglie sono sempre di più coloro che sono costretti a rinunciare alle cure o ad impoverirsi per assicurarsele: si muore mediamente prima, di più e peggio se si è più poveri. Inoltre la forbice delle disuguaglianze tende ad allargarsi e diritti sociali che sembravano acquisiti come quelli dell’accesso ai più alti gradi dell’istruzione tornano pesantemente in discussione. Non vi è dubbio che siamo di fronte ad una rigerarchizzazione sociale e che la mobilità ascendente è sempre più gelatinosa. Come hanno notato in molti non funziona più l’ascensore sociale, con la conseguenza che i tassi emigratori fra non molto saranno più elevati di quelli immigratori.
Certamente il lavoro è cambiato, Cipputi il metalmeccanico con coscienza di classe e senso del dovere verso la società, l’operaio fiero della sua competenza, è in larga misura pensionato, magari iscritto all’apposito sindacato e impegnato nel volontariato; ancora lì a contrastare la deriva atomistica e individualistica della società. Tuttavia un’analisi seria della composizione di classe della società ci porta a scoprire che gli operai ancora ci sono, magari diversamente organizzati. Che il lavoro dipendente riguarda oltre il 70% degli occupati, che gli operai sono quasi il 25% del totale del mondo del lavoro e il 33% di quello dipendente e che insieme alla piccola borghesia rappresentano ancora quasi il 50% della popolazione.
Quel che sembra venir meno è “il signor operaio” di cui decenni fa mi parlava un vecchio lavoratore delle Acciaierie ternane mentre passeggiando la sera insegnava a me giovanissimo, l’importanza del lavoro e dello studio, il rispetto della democrazia e la via per cambiare il mondo senza eliminarla. Oggi in discussione è soprattutto il valore del lavoro, a cominciare da quello produttivo di beni e servizi e la reputazione sociale dei lavoratori. Sulla compressione di salari e diritti un capitalismo spesso assistito e poco lungimirante ha cercato e cerca di fondare la competitività. Ma la crisi del settore industriale del nostro Paese dimostra come questa strada oltre ad essere ingiusta sia miope e sbagliata. Non produce innovazione, deprime la domanda, crea un cortocircuito economico sociale e infine anche democratico.
Non vi è altresì dubbio che la guerra e la sua logica tra chiusura di mercati di importazione ed esportazione e mille manovre speculative fa il resto.
Per questo lotta per il lavoro buono, sicuro e ben retribuito, per servizi universali che corrispondano al diritto di tutti all’istruzione e alla salute e per la pace e i diritti umani, anche quello di assicurare alle generazioni future un mondo abitabile, sono facce della stessa medaglia.
Sono i pilastri fondamentali per un nuovo impegno di forze costituzionalmente orientate. C’è un’amara vignetta di Altan in cui un compagno di lavoro chiede a Cipputi intento e attento come sempre alla sua opera: “e se facessimo un po’ di opposizione?” E lui risponde “da te o a casa mia?”. In quel sarcasmo è nascosta ancora la domanda e la speranza di ritrovare luoghi, spazi, comunità capaci di ridare solide motivazioni all’impegno civile, sociale e politico.