Un nuovo anno è arrivato

Tubi di scarico industriali che emettono fumi. Questi fumi vanno a comporre la forma del pianeta Terra

La speranza per i cristiani è una consegna ed è con questo spirito che auguriamo ai lettori e alle lettrici di Rocca un buonissimo 2025. Sempre che il sistema postale ci consenta di arrivare nelle case, nelle biblioteche, nelle carceri, nelle parrocchie, entro l’anno che sta arrivando! Tuttavia non possiamo impedirci di vedere le minacce che, sotto diversi aspetti, attraversano il mondo e che rendono così lontano l’ironico messianismo di cui cantava Lucio Dalla in “L’anno che verrà”. Di alcune di queste minacce tratta il nostro primo numero del nostro ottantaquattresimo anno di vita: dalle guerre, al collasso del welfare, alla crisi climatica, alla violenza di genere. Ogni speranza seria non può che nascere dall’analisi concreta della situazione concreta. In particolare, nell’arco del 2024, Rocca è tornata ripetutamente sul rischio enorme di un rilancio in grande stile della corsa al riarmo e sul riaffermarsi del dogma funesto del si vis pacem para bellum. In Italia negli ultimi dieci anni la spesa per le armi è aumentata del 132%, mentre quella per la sanità, l’educazione e la protezione ambientale è rimasta quasi invariata, quando non è diminuita in termini reali, accumulando sul lastrico della povertà milioni di persone e non rimuovendo gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza dei cittadini, di cui parla la nostra Costituzione bella e tradita. Ma non impossibile. E da lì bisognerebbe ripartire senza le bolle di sapone che semplicemente la celebrano per negarla.  È urgente perché nel mondo destabilizzato crescono vittime e rifugiati a causa di conflitti (pensiamo solo da ultimo alla Siria) e la crisi ambientale peggiora drasticamente. Anche per il 2025 il governo vuole aumentare del 12% le spese militari e ha già confermato 40 miliardi di euro per nuovi sistemi d’arma nei prossimi anni. Non possiamo non vedere come un’economia di guerra sia necessariamente antipopolare e antidemocratica. Non può che distrarre risorse da tutti i terreni del welfare per concentrarli nelle armi che così uccidono prima ancora di essere usate. Pace, democrazia, uguaglianza sociale sono l’alternativa difficile ma necessaria e possibile allo stato di cose presenti. Questa è oggi la linea di faglia che distingue le forze della conservazione e della pura amministrazione dell’esistente, da quanti non si rassegnano ad assistere passivamente al degrado ambientale, allo svilimento del diritto internazionale e dei suoi organismi, alla logica del conflitto come arma di risoluzione delle controversie internazionali, al crescere vergognoso delle differenze sociali tra popoli (molti dei quali oramai presi dentro la rete della dipendenza dalle potenze imperialistiche dominanti) e all’interno di essi. Costruire un’alternativa ideale, culturale e politica è il compito. Non facile. Si tratta di dare un orizzonte unitario a tanti frammenti di lotta e di testimonianza per la pace, il lavoro dignitoso e sicuro, l’universalità del diritto alla salute e alla cura delle persone e dell’ambiente, un reddito e lavoro di cittadinanza e di farli diventare una forza e un’idea di società fondata su paradigmi diversi da quelli mercatisti e capitalisti. Solo un progetto sociale e politico forte potrebbe contrastare il ripiegamento individualistico e l’atomismo rassegnato di quanti hanno smesso di credere nella partecipazione, nella democrazia, nella possibilità di cambiare il mondo. Per noi l’anno nuovo sarà anche un anno di memoria. Cinquant’anni fa ci lasciava don Giovanni Rossi, fondatore della Pro civitate christiana e di Rocca e, a pochi giorni di distanza da lui, un suo grande e inquieto amico: Pier Paolo Pasolini. Il 9 aprile del 1945, 80 anni fa, veniva impiccato nel campo di Flossemburg Dietrich Bonhoeffer, 10 anni fa andava incontro all’Amico, come lo chiamava, un nostro storico collaboratore: fratel Arturo Paoli, mite e combattivo profeta dei nostri tempi. Non faremo pompose celebrazioni ma chiederemo a questi nostri amici di aiutarci a pensare, pregare e immaginare il futuro con la categoria della speranza che sa resistere anche a caro prezzo e, se custodita e alimentata, riesce a riemergere nel tempo opportuno. D’altra parte la fede, in Dio e nell’umanità, non è una virtù conquistata ma un’eredità, un mantello che ci è calato addosso, come quello che Eliseo riceve da Elia. Un mantello di cui essere degni nella continuità e nella radicalità di un messaggio di liberazione e nella responsabilità di saper leggere i segni dei nostri tempi.