Riflessioni
Il pericolo di un disastro nucleare
Sin dai primi giorni seguenti l’invasione russa dell’Ucraina, nel 2022, la paura di una escalation nucleare si è rivelata uno dei temi principali su cui si è sviluppato il dibattito tra chi sosteneva la necessità di aiutare anche militarmente Kiev e chi, nelle miriadi di declinazioni, chiedeva un maggior distacco da parte dell’Occidente e della NATO.
Tra i due contendenti (Ucraina e Russia) è Mosca a possedere un arsenale nucleare, mentre Kiev nel 1994 ha trasferito tutti gli ordigni risalenti all’Unione Sovietica presenti nei suoi arsenali (in tutto circa 1.900 testate strategiche e tra 2.650 e 4.200 armi nucleari tattiche), in Russia.
Nel 2002, i missili ICBM presenti sul territorio ucraino furono riconsegnati al Cremlino e tra il 2012 e il 2014 gli impianti di arricchimento di uranio ad uso militare vennero smantellati.
Le voci secondo cui l’Ucraina avrebbe fabbricato bombe sporche, bombe convenzionali che conterrebbero materiali radioattivi, o addirittura bombe nucleari, sono state confutate dall’IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che durante le sue numerose ispezioni negli impianti nucleari ucraini, compreso quello di Zaporizhzhia, non ha trovato tracce di materiale radioattivo trafugato o mancante. Rafael Mariano Grossi, il direttore dell’agenzia delle Nazioni unite, lo ha ribadito anche durante la recente visita alla centrale nucleare di Kursk, in Russia, incalzato dalle domande dei giornalisti russi che davano per assodato la presenza di tali ordigni tra gli arsenali di Kiev.
I timori di un conflitto nucleare, però, non si limitano ai soli contendenti, come è spesso stato giustamente evidenziato da più parti. Il recente voto presso il parlamento europeo che autorizza l’Ucraina ad utilizzare le armi a lei inviate anche per colpire il territorio russo, ha innalzato il livello delle ostilità inducendo il portavoce di Putin, Dimitrij Peskov, a minacciare, ancora una volta, l’utilizzo di armi nucleari sui territori dell’Unione europea.
LE MINACCE VERBALI
Pochi tra gli esperti del settore e tra chi ha contatti con l’alta dirigenza russa, per la verità, credono che Mosca possa arrivare a far detonare le proprie armi nucleari: spesso le minacce verbali, come vediamo anche in altri conflitti (ad esempio tra Iran e Israele e nella penisola coreana), sono rivolte più a spaventare l’opinione pubblica dei Paesi democratici affinché questa spinga i propri governi ad evitare ogni forma di contrasto, ad abbassare i toni della contesa e, in ultima istanza, a chiedere il ritiro delle sanzioni che strangolano le varie economie.
Putin stesso non ha mai apertamente dichiarato nei suoi discorsi la volontà di usare il nucleare; le minacce che vengono a lui attribuite, in realtà provengono da emissari che parlano a suo nome, in particolare dai “falchi” come il vicepresidente del Consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev, il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, il portavoce del presidente, Dimitrij Peskov. Personalità importanti nella politica russa, ma nessuno di questi ha il cheget[1] e i codici di attivazione nucleare.
Le dichiarazioni dei funzionari del Cremlino sono più propagandistiche che reali. Putin stesso, da solo non ha il potere di dare l’ordine di lancio dei missili nucleari; è infatti necessario che altre due persone, il ministro della Difesa e il capo di Stato maggiore, digitino il cifrario segreto. Non è di poco conto che nessuno di questi tre politici appena citati abbia mai minacciato l’utilizzo di armi atomiche.
Tra questa triade, il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, è la figura più restia ad innalzare il livello del conflitto. Militare di grande esperienza, Gerasimov è famoso per la sua politica moderata, tanto da essere stato uno dei pochi dell’entourage di Putin ad aver ottenuto la fiducia e il plauso di Anna Politkovskaya. Gli stessi Stati Uniti, nel 2022, avrebbero impedito all’Ucraina di ucciderlo durante le prime fasi del conflitto. Molto probabilmente è questo militare a premere il freno della macchina bellica nucleare russa e in molti ambienti NATO la stima verso Gerasimov è evidente.
LA DOTTRINA NUCLEARE RUSSA
L’attuale dottrina nucleare russa, nota come Principi di base della politica di Stato sulla deterrenza nucleare, modificata nel settembre 2024, afferma che “considera le armi nucleari esclusivamente come un mezzo di deterrenza” e la Russia potrebbe usare le armi nucleari solo “quando l’esistenza stessa dello Stato è minacciata” contro Stati che a loro volta posseggono armi atomiche e chi offre loro aiuto. Un passo, quest’ultimo, che apre (non a caso) a molte interpretazioni ambigue perché Mosca potrebbe considerare Stati nucleari tutti i Paesi appartenenti alla NATO, anche se ufficialmente non sono dotati di armi atomiche.
Al termine della riunione di settembre, di fronte ai membri del Consiglio di sicurezza e ai responsabili delle agenzie di stampa internazionali organizzato dalla TASS, Putin ha ribadito che quello nucleare “è un argomento molto serio. Gli Stati Uniti sono l’unico Paese che ha utilizzato armi nucleari durante la Seconda guerra mondiale (…). Preveniamo tutti non solo l’uso di queste armi, ma anche le minacce di usarle”. Un discorso che, accusando gli Stati Uniti di essere l’unica nazione ad aver lanciato armi atomiche, ha avuto il senso di elevare Putin e la Russia ad un livello di responsabilità e moralità superiore a quello di Washington.
Sarà quindi più difficile oggi, per il Cremlino, trovare una giustificazione per scatenare una guerra nucleare, anche in posizione difensiva, a meno che Mosca non intenda “rubare” a Washington il macabro primato che macchia ancora oggi la storia della Casa Bianca.
L’IMPROBABILE SPAURACCHIO DELLE APOCALISSI NUCLEARI
Vi è però un altro aspetto che preoccupa l’opinione pubblica riguardo il tema nucleare; un aspetto che non riguarda direttamente gli arsenali e gli ordigni bellici, ma che, specialmente in Ucraina, risulta psicologicamente molto importante: la presenza nel teatro globale degli scontri di cinque centrali nucleari a cui, recentemente, se ne è aggiunta una sesta.
L’Ucraina ha quattro centrali atomiche in funzione di cui una (Zaporizhzhia) occupata militarmente dalle forze russe, ma ufficialmente ancora di proprietà dell’ENERGOATOM, l’agenzia atomica di Kiev. A queste si somma quella dismessa di Chernobyl, il cui reattore numero 4 è esploso nell’incidente del 1986 e che oggi è protetto da un sarcofago di cemento e dall’NSC (New Safe Confinement).
Più volte, durante il conflitto, i media si sono scatenati annunciando nuove apocalissi nucleari. Apocalissi che, come molti esperti nucleari hanno più volte annunciato spargendo però parole al vento, non si è mai verificata. I reattori di tipo VVER presenti nelle centrali ucraine sono assai diversi da quelli RBMK di Chernobyl. Creare un incidente di ampie portate in queste centrali è difficilissimo e occorre una serie di fattori concomitanti incredibilmente alto, che si devono sommare ad immani e catastrofici impatti energetici. Infatti, tutti i reattori presenti nelle centrali ucraine (inclusa Zaporizhzhia) sono racchiusi in più strati di contenimento testati a sopportare gli attacchi missilistici convenzionali più potenti. Organizzare un incidente nucleare su reattori del genere impone un coordinamento, un’organizzazione e uno spreco di risorse energetiche, umane e finanziarie che nessuno dei due Stati belligeranti oggi può permettersi. Senza contare che eventuali radiazioni liberate dai reattori o dai siti di stoccaggio delle scorie, vagherebbero in balìa dei venti e potrebbero colpire sia popolazioni ucraine, che russe. Infine, un incidente ai reattori VVER, di fabbricazione russa, sarebbe un duro colpo all’immagine della ROSATOM, l’agenzia atomica russa, padrona del brevetto. I VVER sono ancora commercializzati in tutto il mondo e ad oggi la ROSATOM ha commesse per più di 200 miliardi di dollari. Un incidente ai loro reattori rischierebbe di metterla in ginocchio. L’IAEA ha più volte denunciato il rischio sulla sicurezza causato dalla guerra (presenza di militari nei siti nucleari, condizioni di lavoro proibitive, effetti psicologici), ma, se si guardano i numerosi rapporti, non si è mai parlato di un pericolo diretto dei reattori.
Paradossalmente, l’energia nucleare è quella che ancora oggi permette alla popolazione ucraina e all’industria nazionale di sopravvivere visto che, anche in una situazione estremamente difficile come quella odierna, circa il 50% dell’energia prodotta dalla nazione e il 20% dell’energia consumata è nucleare.[2]
IL CASO DI KURSK
Diversa, invece, la situazione che si è venuta a creare a Kursk, dove le truppe ucraine si sono attestate a qualche decina di chilometri dalla locale centrale. Qui ci sono 4 reattori di tipo RBMK-1000 simili a quelli di Chernobyl, di cui due ancora in funzione. Sono reattori che, oltre a produrre energia ad uso civile, usano anche plutonio-239 per scopi militari e per facilitare la frequente estrazione delle barre di combustibile, mancano di strutture di protezione. In tutta la Russia vi sono ancora sette reattori RBMK (compresi di due di Kursk) ancora in funzione (l’ultimo verrà spento nel 2034), mentre nove sono stati decommissionati o sono in fase di decommissionamento.
In queste strutture un incidente causato da agenti esterni potrebbe accadere più facilmente, sebbene dopo Chernobyl, l’intero sistema di sicurezza e le barre di controllo siano state completamente ridisegnate per raggiungere un livello di protezione passiva accettato dalle norme internazionali.
Sebbene gli ucraini non hanno l’intenzione di conquistare la centrale, la pressione psicologica verso la Russia e verso la ROSATOM è stata notevole. Il controllo di un reattore simile a quello di Chernobyl, ma ancora in funzione, necessita di personale esperto e specializzato, cosa che Kiev non ha e comunque è impegnato nella centrale ucraina; inoltre occupare Kursk rispolvererebbe fantasmi di una storia che gli ucraini non vogliono ripetere.
Kursk non contiene solo i reattori RBMK, ma è anche la centrale che ha appena ultimato la costruzione dei nuovissimi reattori VVER-TOI che l’agenzia atomica russa vorrebbe commercializzare nei prossimi decenni. Il primo reattore del genere ha già combustibile nucleare nel vessel e dovrebbe raggiungere la criticità alla fine del 2024.
Sebbene, come già scritto, i VVER sono sicuri anche se attaccati con le più potenti armi convenzionali, lavorare con le bandiere ucraine a qualche chilometro di distanza comporta uno stress psicologico non indifferente.
Ma proprio questo è il gioco su cui entrambe i Paesi si stanno confrontando: utilizzare il nucleare come pressione psicologica sulle varie capitali al fine di attirare le simpatie o le accuse dei vari governi verso sé stesso o verso il nemico.
[1] Il cheget è la valigetta che contiene i codici di attivazione che autorizza il lancio delle testate nucleari. Il corrispondente statunitense si chiama, in gergo, “nuclear football”.
[2] L’energia prodotta è l’energia che viene generata dalle diverse fonti energetiche interne presenti in Ucraina senza contare le importazioni. L’energia consumata è la quantità di energia che viene utilizzata suddivisa per fonti, contando anche l’energia importata dall’estero.