La costituzione ai tempi del governo Meloni

Il 2 giugno non esisterebbe senza il 25 aprile, date entrambe che rimandano alla storia con la maiuscola. Infatti, per abbattere il fascismo e il nazismo fu necessaria una guerra “mondiale” alla fine della quale gli alleati mantennero l’occupazione della Germania, risparmiando l’Italia per merito dei partigiani che avevano partecipato alla guerra di liberazione. Il Comitato di Liberazione Nazionale di allora rappresentava – e rappresenta, nella memoria – vent’anni di antifascismo militante. Fu così che i partiti dell’arco costituzionale, aboliti dal regime nel 1926, vendicarono i tanti martiri, perseguitati, esuli restituendo alla patria libertà e giustizia e scrivendo “insieme” la nostra Costituzione.

Il 28 ottobre dello scorso anno ricordavamo che era passato un secolo dalla Marcia su Roma e dall’incarico a primo ministro conferito dal re a Benito Mussolini. L’anno dopo la festa del 1° maggio del 1923 era già stata abolita: il regime comandava in un Italia sconvolta dalle conseguenze della guerra, dalla crisi economica, dalle violenze squadriste e anche dalla scissione del Partito Socialista, tradito dall’illusione rivoluzionaria del nuovo Partito Comunista d’Italia. Gli effetti si videro alle elezioni del 1924: il Pnf ottenne il 64,92 % dei voti: la gente, stanca, voleva “sicurezza”. Citare la storia non significa evocarne la replica: come si dice, sarebbe solo una farsa. Tuttavia, è passata l’ombra di un dejà vu quando Giorgia Meloni ha convocato il Consiglio dei ministri proprio il 1° maggio, invito implicito a lavorare senza fare “festa”.

Dopo un secolo la società è un’altra: se Ignazio La Russa conserva il busto del duce, non l’ha comperato ieri al mercatino di Predappio, è un soprammobile di famiglia che dispiace in un presidente del Senato forse dimentico della XII disposizione transitoria della Costituzione. Intanto i soci di Casa Pound e gli altri godono della libertà repubblicana. Giorgio Pisanò (Msi), quando incontrò Vittorio Foa a Montecitorio e “in nome dell’onore che entrambi avevano portato alle rispettive idee”, gli propose una stretta di. mano, si era sentito rispondere: “È vero, abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare parlamentare, ma se avessi vinto tu, io sarei ancora in carcere”.

Adesso ha vinto Fratelli d’Italia, ex Alleanza Nazionale, ex Msi; salutano i democratici più cordialmente ma Giorgia Meloni – senza dire a quale più o meno radicale riforma la sua maggioranza faccia riferimento – ha invitato l’opposizione a confrontarsi sulla riforma della Costituzione, ne ha acquisito le posizioni, poi procederà, tanto “io ho il mandato”. Il mandato, salvo guai interni. Impressiona di più – per gli effetti che ne deriveranno – l’uso massiccio dello spoil system, in particolare l’occupazione della Rai, il mandato sull’informazione pubblica: la libertà di stampa è la libertà di opinione e le critiche e la satira non sono condizionabili. Sappiamo, dice il Presidente della Repubblica, che “la libertà non è mai acquisita una volta per sempre e che, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve… il convinto e incondizionato rifiuto di ogni sopraffazione totalitaria, unitamente alla consapevolezza dell’importanza della democrazia” debbono rinvigorire le coscienze.

Anche perché il governo detiene il potere ricevuto da due terzi dei votanti: un terzo degli italiani non è andato a votare e nessuno ne tutela gli interessi. I non-rappresentati non sono andati a votare per dissenso, sfiducia, indifferenza o per antipolitica, disinformazione, rabbia. Forse il problema non è il fascismo – l’ignorante dice “ma ha fatto anche cose buone” – ma l’antifascismo. Non siamo abbastanza antifascisti. Infatti, siamo già in campagna elettorale per le europee del prossimo maggio e siamo meno europeisti di quando era vivo Altiero Spinelli. Colpa dei governi che, incapaci di riforme necessarie, accusano “ce lo chiede l’Europa”. Solo se i cittadini si sentiranno europei e i partiti non si limiteranno a decidere chi mettere in lista, l’Italia potrà diventare partner credibile dell’Europa.

Con il 2 giugno 2023 l’antifascismo ha chiesto coerenza: pensare e fare politica è necessario. Umano. Perfino bello.