Il pane per il cammino

Più volte nelle pagine della Scrittura Dio provvede il pane per il suo popolo in cammino. Il popolo di Israele durante il lungo cammino nel deserto ha avuto bisogno di un cibo, la manna, misteriosamente provveduto da Dio (Es 16).  Non c’è cammino se manca il pane che sostiene. Anche Elia, sull’orlo della disperazione fino a chiedere la morte, trova un pane, una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua e il cammino può continuare (1Re 19,3ss.). Come a Elia, come a Israele nel deserto, così anche a noi è donato un pane per il cammino dell’esistenza. E Gesù stesso, ripetutamente si farà carico della fame della moltitudine che lo segue. Matteo racconta: “Egli vide una grande folla, sentì compassione per loro…” (!4,14). Il verbo usato dall’evangelista e che viene tradotto ‘sentir compassione’ indica anzitutto   il moto delle viscere, meglio ancora del grembo materno.  È il verbo evangelico della misericordia che opportunamente la Vulgata ha tradotto ‘viscere di misericordia’. Come la fame coinvolge il nostro corpo che sente un vuoto così la misericordia di Gesù prende, coinvolge tutt’intera la sua fisicità.

Prima di stupirci per questo pane che è il corpo del Signore, vorrei che sostassimo su questo dono del pane per il cammino della vita. C’è un tratto di singolare tenerezza in questa volontà di Dio nostro padre di provvederci non solo del pane quotidiano che ci sostenta, ma anche di questo pane che discende dal cielo e di cui abbiamo bisogno per non venir meno lungo la strada della vita. Questo pane, infatti, non è cosa, oggetto: questo pane è la presenza stessa del Signore Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Per il cammino della vita ci è data quindi la presenza, la compagnia di qualcuno: grazie a questo pane ci è data la presenza, la compagnia del Signore Gesù. Che questo pane non sia pane ma sia la viva presenza di qualcuno è parola stupenda ma sconvolgente: la nostra intelligenza esita, forse anzi rifiuta. Come i contemporanei di Gesù che mormoravano: questo Gesù, figlio di Giuseppe, il falegname di Nazareth noi lo conosciamo bene, come può pretendere d’esser disceso dal cielo? Ancora una volta sembra impossibile che in un uomo, un uomo qualunque di una povera famiglia qualunque, Dio stesso si manifesti, si riveli, si comunichi a noi irrevocabilmente.  Forse non ci sorprende più la parola che accompagna il gesto di ricevere sul palmo della mano il piccolo pezzo di pane che è il Corpo di Cristo. Questo è il cuore della nostra fede: che in un uomo qualsiasi, un tale chiamato Gesù figlio del falegname, Dio si faccia compagno della nostra condizione umana e che in un pezzo di pane, semplice e povero nutrimento, Dio si faccia nostro nutrimento.  Perché questo gesto susciti in noi, ogni volta, stupore voglio qui evocare la testimonianza di don Carlo Gnocchi cappellano degli Alpini durante la tremenda ritirata di Russia. Poche righe che ci restituiscono l’emozionante certezza della compagnia del Signore Gesù nel semplice segno di un pezzo di pane. Racconta don Carlo: “Passa ultimo e frettoloso un giovane ufficiale. Riconosce il cappellano. Ciao, gli dice sottovoce, hai il Signore con te? Sì, Dammelo da baciare. Un balenio metallico della piccola teca tratta di sotto la divisa; un bacio intenso e poi via animosamente. Ricomincia il colloquio e il cappellano parla al suo grande Compagno… e quando la domanda si fa più pressante, la gioia più intensa, il dolore più fondo, la mano corre istintivamente alla piccola teca che racchiude il corpo di Cristo… Così vai… Quando nelle notti passate all’addiaccio, immense e rotte dagli incubi, hai la fortuna di portare con te il corpo di Cristo, Egli ti si addormenta leggermente sul cuore e tu non sai se sei tu che porti Lui o Lui che porta te”.