Umanità al quadrato
Il libro del mese
Cosa rende umani gli esseri umani? A questa domanda tenta di rispondere Björn Larsson nel saggio filosofico-scientifico “Essere o non essere umani. Ripensare l’uomo tra scienza e altri saperi” (Raffaello Cortina Editore, 2024). È un quesito su cui, secondo l’autore, negli ultimi decenni si sono sempre più spesso interrogate le varie discipline scientifiche e sempre meno le cosiddette scienze umane che pure sembrerebbero deputate ad affrontare la questione con maggiore profondità.
Larsson tenta di pareggiare i conti passando in rassegna lo stato dell’arte che le scienze naturali ci propongono, per poi giungere alle riflessioni delle scienze umane e sociali, fino ad interrogarsi se debba esistere una scienza specifica per quel che concerne l’umanità dell’uomo.
Se, infatti, la teoria dell’evoluzione, le neuroscienze, la psicologia cognitiva, la fisica e la biologia hanno raggiunto interessanti scoperte e formulazioni teoriche su alcuni aspetti caratterizzanti l’essenza del nostro essere umani, l’impianto deterministico su cui esse si basano impedisce loro di cogliere l’essenza della questione che risiede fondamentalmente nella natura sociale dell’uomo dove subentra la dimensione intersoggettiva e simbolica – irriducibile a un rigido determinismo – che caratterizza la nostra specie e la distingue da ogni altra, anche quelle geneticamente più vicine a noi.
In effetti, le riflessioni di Larsson muovono dai suoi studi di linguistica e semantica cui già in precedenza aveva dato forma, così come a quelle sulla libertà e il libero arbitrio che avevano costituito una sorte di cornice ideologica entro la quale si era sviluppato il suo talento letterario.
Eppure, la linguistica stessa, così come la teologia, la scienza letteraria, l’antropologia solo timidamente affrontano la questione dell’umanità dell’uomo che pure rimane un argomento di grande fascino e interesse, troppo per essere lasciato stare. Per questo Larsson ci si dedica in questo suo saggio, pur non considerandosi – per così dire – un esperto in materia, ma sentendo una forte spinta a scriverne.
Björn Larsson è, infatti, principalmente un narratore, romanziere di grande successo, tra coloro che maggiormente hanno contribuito all’affermarsi della moda scandinava nel nostro paese. È una delle firme che hanno fatto la fortuna della casa editrice Iperborea, capace di scovarlo alla fine degli anni ’90 con “La vera storia del pirata Long John Silver” (Iperborea, 1998), dedicato al personaggio creato da Stevenson nell’Isola del tesoro, poi seguito da una lunga serie di successi letterari.
Se da principio sembrava un autore di genere marinaresco (Larsson stesso ha vissuto per oltre dieci anni in barca), ha negli anni variato i temi trattati, fino al recente romanzo “Nel nome del figlio” (Iperborea, 2021) dedicato alla morte del padre, annegato durante un’uscita in barca sul lago con amici, avvenuta quando Björn era bambino e di cui conserva ricordi sbiaditi: l’ultimo sguardo paterno obnubilato dall’alcol e il fatto che a lui bambino non venne mai da piangere per quella perdita.
Accanto all’estro letterario, tuttavia, Larsson non ha mai abbandonato la riflessione filosofica che già da giovane gli fece lasciare gli studi di geologia (passione ereditata dal padre) per dedicarsi a quelli che poi lo condurranno a scegliere di diventare scrittore, partendo a diciannove anni per Parigi, deciso a seguire le orme degli esempi francesi, Simone de Beauvoir in testa, e disertando il servizio di leva in Svezia, in nome di un’idea di libertà che lo accompagnerà per il resto dell’esistenza.
La Francia ha lasciato il segno, se è vero che Larsson è poi diventato professore di letteratura francese all’università di Lund in Svezia, ma è altresì certo che Larsson ha viaggiato e vissuto in molti altri posti (Scozia, Irlanda, Galles, Paesi baschi, Galizia, Italia), imparando altrettanto bene le rispettive lingue.
Attualmente si divide tra Italia e Svezia e, proprio alternandosi tra questi due paesi, in un periodo molto particolare come quello della prima diffusione del COVID-19 nella primavera del 2020, in cui il modello italiano e quello svedese su come affrontare la pandemia erano agli antipodi, ha avuto origine il saggio “Essere o non essere umani”.
In effetti, le riflessioni di Larsson sull’umanità dell’uomo muovono proprio dalla dialettica che scaturisce tra libertà e intersoggettività nella dimensione simbolica della realtà e da questo punto di vista la vicenda del COVID, oltre a rappresentare con la pausa forzata del lockdown un’inopinata occasione per risistemare i pensieri di una vita e dare loro forma di scritto, hanno messo a vivo i temi dell’umanità in alcuni dei suoi aspetti più profondi, senz’altro quelli più cari a Larsson.
Il libro è stato scritto originariamente in inglese per espressa volontà dell’autore che ha voluto in questo modo scegliere una lingua, conosciuta ma pur sempre straniera, alla ricerca della maggior chiarezza possibile. Anche la casa editrice italiana, il libro è infatti concepito primariamente per il pubblico del nostro paese, è stata volutamente cambiata da Larsson: non più Iperborea che ha stampato i suoi grandi successi letterari, bensì Raffaello Cortina che meglio si confà alla natura saggistica dello scritto.