Una Prefetta perfetta chi potrà trovarla?

Suor Simona Brambilla (sullo sfondo il Vaticano)

La nomina di suor Simona Brambilla, religiosa delle missionarie della Consolata, al ruolo di Prefetta del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ha suscitato diverse reazioni. Alcune hanno esultato (Donne per la Chiesa), vedendovi finalmente la rottura del tetto di cristallo da parte delle donne nella Chiesa (Giovanni Panettiere), altre hanno ridimensionato l’importanza della nomina sottolineando che la scelta conferma la linea che chiude al vero cambiamento, quello dell’ordinazione (Marco Marzano). Alcuni hanno chiamato in causa contraddizioni del Codice di Diritto canonico (Andrea Grillo), ma anche l’importanza simbolica nell’evoluzione graduale ma significativa del ruolo delle donne nella Chiesa (Marinella Perroni).

LA LUNGA MARCIA DELLE DONNE IN VATICANO

Numerose donne hanno ricoperto ruoli significativi nell’apparato amministrativo della Santa Sede nel corso della storia, forse più di fatto che di diritto: si pensi a personaggi storici e quasi mitici come Matilde di Canossa o Lucrezia Borgia la quale in assenza da Roma del padre papa Alessandro VI, pare svolgesse le funzioni secolari del padre e firmasse decreti ecclesiali affiancata da un Consigliere papale.

Venendo a tempi più recenti, le donne hanno lentamente ma inesorabilmente ottenuto ruoli di leadership nella Chiesa. Dal settembre del 1965 ventitrè donne furono invitate a partecipare ai lavori del Concilio Vaticano II. Fin dalla fine degli anni ’60 molte donne hanno iniziato a entrare nei luoghi dello studio, dell’insegnamento e dell’apparato amministrativo della Chiesa. Abbiamo già ricordato che Rosemary Goldie (Rocca 2022) fu una delle prime donne laiche a ricoprire una posizione di responsabilità nel Pontificio consiglio per i laici dal 1966 al 1976. Tante altre donne, silenziosamente e senza riconoscimenti di diritto, hanno di fatto portato avanti il lavoro amministrativo negli uffici della Curia ricoprendo pian piano ruoli sempre più importanti. Flaminia Giovannelli, laica, è stata Sottosegretaria al Pontificio consiglio della giustizia e della pace e poi al Dicastero per la Promozione dello sviluppo umano integrale.

Dal 2013 al 2023 si è passati dal 19,2% al 23,4% di presenze di donne nei ruoli di governo. L’elenco dettagliato sarebbe lungo. Limitiamoci a dire che ad oggi ricoprono ruoli di rilievo:

  • Barbara Jatta (direttrice dei Musei vaticani dal 2016)
  • Suor Raffaella Petrini (Segretaria generale del Governatorato dal 2022)
  • Emilce Cuda (Segretaria della Pontificia commissione per l’America Latina)
  • Gabriella Gambino e Linda Ghisoni (Sottosegretarie al Dicastero per i laici, la famiglia e la vita)
  • Suor Nathalie Becquart (Segreteria generale del Sinodo dei vescovi)
  • Nataša Govekar (Direttrice teologico-pastorale al Dicastero per la comunicazione)
  • Cristiane Murray (Vicedirettrice della Sala stampa della Santa Sede)
  • Charlotte Kreuter-Kirchof (Vicecoordinatrice del Consiglio per l’economia).

IL CONTESTO STORICO E GIURIDICO

A sr. Brambilla è stato dato indubbiamente un ruolo vertice di un Dicastero, il più alto finora mai ottenuto. Ma ciò indica davvero la rottura del tetto di cristallo per le donne cattoliche? La mia risposta a questa domanda non sarà univoca.

Abbiamo già ricordato la concezione del “femminile” nella storia della Chiesa (Rocca settembre/ottobre 2023). Le donne sono state escluse per motivi di carattere socio-culturale da ruoli di responsabilità quali insegnamento, culto e governo, in quanto considerate nel quadro giuridico ecclesiale come subordinate e funzionali. Tuttavia non sono mancati esempi di donne che hanno ricoperto missioni e ruoli di governo, insegnamento e culto.

Dopo il Concilio Vaticano II la Curia ha visto varie donne a servizio dell’apparato amministrativo della Santa Sede, in funzioni per lo più subordinate.

Nel 2022 con la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium Papa Francesco ha sostituito le Congregazioni con i Dicasteri. Le Congregazioni sono state guidate tradizionalmente da cardinali o vescovi, mentre a capo dei Dicasteri – dice espressamente il testo – possono esserci laici: «qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di questi ultimi» (n.5).

Questo cambiamento permette un risultato notevole: apre infatti i ruoli nella Chiesa al merito superando il requisito dell’ordinazione. Nella Chiesa cattolica, infatti, non è raro che personaggi di dubbia professionalità siano messi a ricoprire incarichi di direzione con l’unico requisito che possono vantare e cioè quello di essere stati ordinati.

La questione centrale riguarda la natura del potere di governo della Curia: deriva dall’ordinazione o dalla delega papale?

Una scuola di pensiero giuridica ritiene che un Prefetto di una Congregazione agisse per delega del papa infatti è lui a nominare e del resto se un vescovo poteva permettersi di intervenire (con potere giurisdizionale) su un suo omologo, poteva farlo in funzione vicaria.

Dal Concilio Vaticano II, però, posizione recepita anche nel Codice di Diritto canonico al n. 129,1 – come ricordava il teologo A. Grillo – si è sviluppata un’interpretazione del sacramento dell’Ordine tendente a superare la distinzione tra giurisdizione e ordinazione e che lega strettamente i tre munera che vengono conferiti con l’ordinazione (quello di insegnare, munus docendi, quello cultuale, munus santificandi, e quello di governare, munus regendi).

Questo è confermato anche dal fatto che laddove in passato sono state nominate donne ai vertici di una Congregazione (si pensi a sr. Enrica Rosanna, la prima religiosa a salire ai vertici della Chiesa romana nel 2004 come sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica), sono state affiancate da un omologo maschio ordinato che firmasse con lei le sue decisioni (a conferma che certe idee arcaiche sulle donne sono dure a morire). Secondo il Concilio la potestà di governo deriva dalla missione canonica e quindi un Prefetto o una Prefetta dovrebbe essere ordinato/a.

La Praedicate Evangelium chiarisce che «ogni Istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di quest’ultimi» (n. 5).

Ciò che ha permesso la nomina di sr. Brambilla è stata quindi la dissociazione tra leadership e ministero ordinato che ha permesso alla Prefetta di avere quel ruolo sulla base dei suoi meriti riconosciuti. Si tratta di una posizione che da tempo chiedevano le teologhe per permettere anche alle donne di mettere a servizio le loro competenze e professionalità a favore della Chiesa.

In fondo accade questo anche per le teologhe con il munus docendi.

LA QUESTIONE DEL PRO-PREFETTO

Ha sollevato interrogativi il fatto che accanto alla Prefetta sia apparso un cardinale Pro-prefetto. Secondo la Praedicate Evangelium ogni Istituzione curiale è composta da un Prefetto e segretari (art 13 e 14) ma non sono previsti Pro-prefetti eccetto che per il Dicastero per l’evangelizzazione, presieduto direttamente dal Papa tramite due Pro-Prefetti che guidano le due sezioni (art 53).

Non è chiaro dunque se il Pro-prefetto del Dicastero per i Religiosi risponda alla Prefetta o al papa, creando ambiguità sul reale potere decisionale di suor Brambilla.

Ci si chiede i motivi di tale orpello: per rassicurare tradizionalisti? Per un atto paternalistico?

Secondo la logica del n. 5 del documento il Pro-prefetto è vicario del papa non della laica. Ne consegue che la prefetta non avrebbe titolo per intervenire sulle problematiche riguardanti il ministero ordinato.

UN BILANCIO DELLA NOMINA

Fatte queste considerazioni, cosa ne possiamo trarre?

Si tratta effettivamente di un grande passo per le donne nella Chiesa? Sì e no.

Sì, questa nomina rappresenta per tutte le donne cattoliche un avanzamento nei ruoli di leadership.

Sì, perché essa riflette la realtà demografica: le donne consacrate sono circa 150.000 in più rispetto al totale dei religiosi maschi (nel 2023 608.000 – a fronte di 457.000) ed è giusto che a capo di un tale Dicastero che deve occuparsi di una maggioranza femminile di religiose, sia una donna ad esercitare il discernimento.

Sì, perché la nomina riconosce la competenza delle donne nella comprensione delle dinamiche interne delle comunità religiose. Come sapeva già santa Ildegarda che preferiva una abbadessa a capo dei suoi monasteri doppi, una donna comprende le dinamiche delle comunità maschili e femminili, ma un uomo non comprende le dinamiche di una comunità femminile. Va detto che talvolta a capo della Congregazione dei Religiosi sono stati nominati maschi ordinati che della vita monastica e/o della vita religiosa femminile non avevano la benché minima idea, non solo a livello di dinamiche relazionali ma a che a livello teorico.

Sì, la nomina rappresenta un passo verso la modernizzazione delle strutture ecclesiali, che papa Francesco sta portando avanti in mezzo a molte difficoltà (si ricordi la cancellazione dell’impedimentum sexus per i ministeri, lo stesso che tuttavia resta per l’ordinazione).

Sì, perché le pratiche – come sottolineava la teologa Marinella Perroni – hanno un impatto simbolico (l’uso del femminile per i ruoli di potere!) e dinamico sulle teorie e sulle trasformazioni sociali.

Tuttavia mi permetto di vedere anche aspetti negativi.

La nomina di una donna a Prefetta di un Dicastero sembra rafforzare il potere nel vertice papale.

Restando escluse dall’ordinazione, le donne continuano ad essere trattate in modo paternalistico, come una sorta di riserva indiana, continuando ad essere considerate funzionali, strumentali e come estensioni del potere maschile, dovendo costruire attorno a loro un recinto fatto di escamotage, maschi ordinati e Pro-prefetti.

Grillo ha ragione a sottolineare che in questo modo le competenze delle donne restano subalterne al potere di chi è a capo, dunque soggette a personalismi e non strutturate nell’istituzione ecclesiale.

La separazione tra giurisdizione e ordinazione è un retaggio tridentino, chiesto dalle teologhe per aggirare l’inaccettabile incapacità della Chiesa di servirsi dei carismi delle donne. Sarebbe più giusto seguendo il dettato Conciliare che torna al modello più antico, che se si intende riconoscere l’autorità di una donna occorrerebbe ordinarla (Grillo).

Le donne agiscono già i loro doni, i loro munera, per merito e professionalità le teologhe esercitano il loro munus docendi, le prefette il loro munus regendi. Resta per loro l’esclusione dalla totalità della grazia: sono infatti ancora solo sei i sacramenti a loro disposizione.