50 anni dalla morte di Jacques Maritain
Un pensiero da riscoprire
Se nel dipanarsi ansiogeno dell’attività riuscissimo a trovare il tempo per interrogarci sul perché del nostro prodigarci, scopriremmo come non sia facile trovare una risposta esauriente.
Il mondo è davvero complesso, ma come essere pensanti abbiamo il diritto-dovere di capirci qualcosa e rifiutare la rassegnazione del fuscello che si lascia trasportare dalla corrente. Può essere allora opportuno rammentare studiosi che con le loro ricerche hanno individuato un filo conduttore che porta a una qualche soluzione.
50 anni fa (28 aprile 1973) moriva Jacques Maritain, filosofo cattolico francese che si è occupato di estetica, diritto, politica, pedagogia, scienza. Paolo VI lo definiva “il mio maestro”, lo invitò al Concilio Vaticano II e lo chiamò a ricevere il messaggio della Chiesa agli intellettuali.
Studioso di san Tommaso d’Aquino, ha maturato la coscienza della crisi del nostro tempo nei suoi vari risvolti, indagando sulla possibilità di trovare punti d’incontro tra pensiero cattolico e pensiero laico.
Filosofia e scienza
Potremmo partire dal nostro pianeta di cui l’uomo moderno, esaltato dalle conquiste scientifiche, ritiene di poter disporre a proprio piacimento, dimenticando Dio. Viene così superato il teismo ebraico-cristiano, che presentava un Dio creatore e provvidente, con l’uomo responsabile di fronte al Creatore.
All’origine di questa frattura che segna il passaggio dalla filosofia all’antropologia, Maritain pone Lutero, Cartesio e Rousseau (Tre riformatori, pubblicato nel 1925). Il primo separa la natura dalla grazia, Cartesio oppone ragione e fede, Rousseau oppone natura e ragione. Maritain ribadisce il pensiero tomista che presenta la filosofia dell’essere incentrato sulla persona come valore assoluto.
Altra deriva è lo scientismo, che esalta la scienza come unico strumento conoscitivo con cui spiegare la natura di tutte le cose e soddisfare ogni necessità dell’uomo. È il positivismo che esclude la ricerca di essenze o principi superiori, privilegiando il compito della conoscenza, che è quello di scoprire “leggi” di natura che si fondano su fatti osservati.
In questa ottica si marginalizza lo spazio della contemplazione rispetto all’attività pratica, della morale rispetto alla tecnica, si esalta la quantità mortificando la qualità. Sono comportamenti che, sulla scia di Cartesio, negano scientificità alla teologia confinandola allo stadio di prassi morale. Ne consegue che il perseguimento del successo sia abbinato al concetto di verità e che è utile solo ciò che è funzionale a questo scopo.
Siamo alla “naturalizzazione del Cristianesimo”, al “prevalere della scienza sulla saggezza”, di cui Maritain si occupa in Scienza e saggezza, segnalando le tappe di un processo che registra dapprima il distacco della filosofia dalla teologia e poi quello della scienza dalla filosofia, alla quale non viene riconosciuta valenza scientifica. L’ulteriore evoluzione ci porta poi negli anni ’30 del ‘900 a Karl Popper: possiamo ritenere scientifiche le teorie che potrebbero essere confutate dai fatti. Un asserto è scientifico se e solo se è falsificabile. La caratteristica delle teorie scientifiche non è dunque la verificabilità, ma la falsificabilità.
Maritain ripercorre il pensiero tomistico, che nel rapporto tra scienza, filosofia e teologia parla di raccordo e di dialogo. Ecco un frammento illuminante:
“La massa enorme e possente delle attività scientifiche, la meravigliosa impresa della conquista sperimentale e matematica della natura da parte dello spirito umano è abbandonata, senza direzione né luce superiore, alla legge dell’empirico e del quantitativo, interamente separata dall’ordine totale della saggezza. Essa avanza nella storia, e trascina gli uomini senza più nulla conoscere della saggezza speculativa né della saggezza pratica”.
Di qui, secondo Maritain, la necessità della rinascita di una “filosofia cristiana”, una filosofia che utilizzi gli strumenti della razionalità scientifica per realizzare i fini laici delle libertà civili, del benessere economico, del progresso, tenendo però conto delle motivazioni religiose che puntano a un ordinato assetto sociale.
Il progresso, di per sé, non va criticato, ma occorre riflettere sugli effetti perniciosi di una libertà fine a se stessa, di una tecnica senza responsabilità morale, fenomeni che subordinano l’uomo all’imperio dell’economia, che diventa così il fine esclusivo della sua esistenza, svalutando il pensiero rispetto all’azione, la gratuità rispetto all’utilitarismo, l’essere rispetto all’avere.
Umanesimo integrale
All’idea della filosofia cristiana si associa, sul piano politico, quella dello “stato laico cristiano”, tratteggiato nell’Umanesimo integrale, pubblicato nel 1936. Maritain ripercorre la storia della cultura, a partire dal Medioevo, quando la cultura, sacrale e teocratica, punta a realizzare il regno di Dio sulla terra. Il Nostro è estimatore di quel periodo storico e studioso attento dell’aquinate, ma non può associare la Christianitas ad una società che si identifichi soltanto nella fede cristiana, né auspica il permanere della soggezione medievale del potere politico a quello religioso.
L’avvento della modernità, con l’antropocentrismo della cultura umanistica,
avrebbe poi posto l’uomo in posizione centrale, estraniando Dio dalla storia. La
religione diviene per Lutero un fatto soggettivo, da relegare quindi nella sfera
della propria intimità. Per Marx, invece, deve scomparire dalla storia in quanto
“oppio dei popoli”.
Maritain non condivide il modernismo di questa cultura, che per un verso
concentra l’attenzione sulla materialità dell’economico e per altro verso, esaltando la libertà dell’uomo, lo allontana da Dio. Diviene così “antimoderno”, ma in realtà lo si potrebbe definire “ultramoderno”, riflettendo sul senso del suo umanesimo integrale.
È l’umanesimo che conferma la centralità dell’uomo, senza tuttavia definirlo come signore incontrastato del mondo. Così era infatti considerato nell’umanesimo “moderno”, che aveva tolto alla terra la sacralità del dono divino (affidato all’uomo perché lo amministrasse) e aveva introdotto il concetto di “natura” di cui poter disporre in piena libertà.
L’umanesimo è anche integrale, perché non è possibile scindere nell’uomo lo spirito dalla materia.
Questo pensiero di Maritain supera le angustie della cristianità medievale, ed è alternativo sia al marxismo che al nazifascismo, contro cui lotta. Ni droite, ni gauche è il suo motto, che avrebbe aperto la strada a formazioni politiche intermedie, ma comunque guidate da uno spirito cristiano. Maritain intuisce anche le derive della post-modernità che si sarebbero manifestate come individualismo liberale, totalitarismo tecnologico, relativismo e naturalismo.
Per questo pensiero così impegnativo affronta varie critiche. C’è chi lo attacca per la sua “politica cristiana”, con cui invischia la religione nella politica. Per altri è un marxista cristiano, perché si spende in favore dei diritti dei lavoratori.
In realtà egli non coinvolge la Chiesa in questioni temporali, ma indica per la politica una linea che quantunque indipendente dalla fede, non ignori la vocazione religiosa. Quanto alla questione della classe operaia, egli evidenzia come l’allontanamento dei lavoratori dalla fede sia da imputare anche allo scarso impegno di chi si professa cristiano.
Questo disinteresse non può passare sotto silenzio per un philosophe engagé come Maritain, che considera lo studio filosofico come una missione da svolgere, sulla scia dell’insegnamento tomista, combinando Azione e contemplazione (titolo di una specifica opera). Il tema è approfondito da Giovanni Barra, il quale sostiene che “per Maritain ogni discorso sull’apostolato e sulla presenza dei cattolici nel campo della politica, della cultura, della tecnica, dell’arte, dell’economia, si riconduce a questo principio: prima essere, poi agire, prima amare, poi fare”.
Un appello
Ecco allora il richiamo alla responsabilità del laico a impegnarsi “in quanto cristiano” (en tant que chrétien) nel rispettare i dogmi della Chiesa per la salvezza dell’anima e “da cristiano” (en chrétien) nell’applicazione individuale delle idee cristiane in ambito temporale, per promuovere la condizione umana nella storia.
È un appello che chiama in causa tutti, per far sì che questo cinquantenario sfugga alla ritualità della “anniversarite” e sia prodigo di risultati nella vasta gamma di discipline in cui Maritain si è cimentato. Nel tempo smarrito che attraversiamo sarebbe improvvido rinunciare a una guida preziosa, ostentando una sicurezza fallace.
“Molti – ammonisce Seneca – potrebbero arrivare alla saggezza se non avessero la presunzione di essere già arrivati”.