L'editoriale
Tessere un’altra tela

Siamo entrati nel tempo liturgico della Quaresima. L’immaginario collettivo e anche quello dei credenti, lo avverte sovente come un tempo di mortificazione: “ricordati che sei polvere e che polvere ritornerai”. E c’è del vero: mica possiamo banalizzare il nostro essere per la morte, l’ontologica fragilità che de-limita e de-finisce la nostra vita, dandogli un senso ed un’identità. Ma più ancora, come di recente ha ricordato Alberto Maggi, è un tempo di vivificazione. Ricordo anch’io quando i contadini sul finire dell’inverno spargevano la cenere sul terreno per renderlo più vitale e fecondo. Tutto nella Quaresima è in vista della Pasqua, cioè della vita.
Ci può essere una chiave laica di leggere la Quaresima? Credo di sì. La Quaresima ci dice l’importanza del rallentare, del fermarsi, dello spogliarsi di parole, di frette, di consumi esagerati. Di liberarsi almeno di qualcosa dello spirito di quantità, di voracità, di mercificazione, per ritrovare il metrion, la misura, la moderazione, la sobrietà, la qualità, il sapore del tempo. Una sorta di decrescita felice per stare al gioco di Serge Latouche nel titolare il suo libro più noto.
In anni ormai remoti il leader di un partito storico della Sinistra italiana propose “incautamente” una politica dell’austerità. Apriti cielo! Fu fatto passare per un novello penitente che ti toglieva di bocca il pane e il companatico. In realtà quel lungimirante uomo politico indicava una strada difficile e giusta: non farsi mangiare l’anima dalla macchina dei consumi, redistribuire il reddito in modo tale che per tutti ci fosse un’esistenza dignitosa, che crescesse l’uguaglianza e diminuisse l’ingiustizia. E che questo accesso generale a un buon livello di vita facesse girare il sistema economico. Insomma il programma della nostra Costituzione: né più né meno.
Oggi, in una sorta di grottesco prolungamento del tempo di carnevale, si agitano vorticosamente le maschere tragiche dell’esaltazione di una libertà che nega la democrazia e non si arresta quando comincia quella dell’altro, di una forza che nega il diritto, di un individualismo che nega la comunità, di un razzismo che non sopporta la differenza. Sembra essersi perso il metrion, l’equilibrio, la misura come paradigma delle relazioni tra persone, tra Stati, tra spazi geopolitici. E soprattutto sembra percepirsi come inutile e velleitario l’impegno ad invertire questa tendenza, la speranza in un cambiamento che rimetta al centro della società persone e soggetti sociali portatori di bisogni, di valori, di ideali. Una sorta di anoressia della politica e disidratazione delle culture critiche che, di dritto o di rovescio, hanno inciso sulla storia almeno degli ultimi due secoli.
Per questo abbiamo scelto per copertina un bellissimo disegno di Amaro, dandogli noi una lettura non autorizzata ma speriamo non del tutto arbitraria. La farfalla è simbolo di fragilità e di bellezza, in un certo senso di trasfigurazione. La sua capacità di emergere dalla crisalide e di volare libera rappresenta la possibilità di trovare una via di uscita anche nelle situazioni più buie. Quel suo posarsi ingenua, irriverente e fastidiosa come il tafano socratico, sul naso dell’animale è come il granello di sabbia che blocca l’ingranaggio del sistema (di sfruttamento, di guerra, di concentrazione del potere) e riapre alla necessità di un cambiamento fondato sulla giustizia sociale e ambientale, sulla libertà mai disgiunta dall’uguaglianza, sulla democrazia che non separi mai sostanza e forma. Un nuovo progetto speranza che porti a spendersi per una causa capace di dare un senso alla vita e, sì, anche un po’ di gioia all’esistere degli umani: la causa che carsicamente lungo la storia ha fatto crescere la dignità, la libertà e l’uguaglianza degli uomini e delle donne, l’affermarsi progressivo dei diritti civili e sociali, l’emergere sulla scena della storia delle classi sfruttate, la liberazione di popoli interi dalla schiavitù e dal colonialismo, la presa di parola del mondo femminile. Oddio ma questi sono i segni dei tempi di cui parlava papa Giovanni nella “Pacem in terris”! Aveva ben compreso quell’anziano profeta di speranza che pace e giustizia o stanno insieme o insieme cadono. Un forte messaggio per oggi. Quando tutto questo percorso di umanizzazione sembra tornare in discussione, come leggerete in molti rigorosi articoli di questo nostro numero, le piccole ali della farfalla ci ricordano che c’è un’altra strada, un altro equilibrio mondo, un’altra organizzazione di società per i quali è possibile continuare, tornare o iniziare a impegnarsi con pazienza operosa, passione e realismo. Tessere, insomma, un’altra tela.