Siamo tutti figli adottivi

Nella storia è stato evidente un fatale fraintendimento: si sono giustificate con la religione alcune posizioni politiche con un duplice effetto, quello di attribuire a Dio cose che non ha mai detto e di deresponsabilizzarci dalla fatica di fare delle scelte rispetto a nuove sfide e nuovi contesti. Così è stato per giustificare la schiavitù, o la negazione di certi diritti alle donne come per esempio alla fine dell’800 quello di voto. Tuttavia, come per esempio dimostrò l’equipe delle studiose riunitesi attorno al progetto della Bibbia delle donne capitanato da Elizabeth Cady Stanton, alla prova dei testi le posizioni non appaiono poi così ovvie. In Italia ultimamente nel discorso pubblico questo fraintendimento avviene di frequente ripiombandoci con certi déjà vu indietro nel tempo. Faccio due esempi: il primo è il caso della posizione sulla necessità dei figli di avere il diritto ad una famiglia «naturale» per cui per garantire questo diritto la legge si capovolge in punizione per i bimbi venuti al mondo (da coppie omogenitoriali). Sembra essere tornati ai tempi dei figli legittimi e dei figli illegittimi sui quali la Chiesa fin dai primi secoli ha avuto una posizione chiara: i figli illegittimi venivano battezzati, cioè scritti nei registri della Chiesa, e potevano perfino accedere al ruolo di capi di comunità (così già Metodio d’Olimpo del III sec.). Anche oggi la Chiesa battezza i figli delle coppie omogenitoriali e anche quelli nati da Gpa, di qualsiasi tipo di coppia. O forse occorrerebbe tornare ancora più indietro per trovare una prassi così incivile, ai tempi veterotestamentari in cui la colpa dei padri veniva fatta ricadere sui figli; tale appare infatti questo «procedimento di rettificazione» della Prefettura ai sindaci: una punizione per le coppie omoaffettive.

L’approccio paolino

San Paolo ci ricorderebbe che il legame più forte, quello capace di costituire una nuova realtà è quello di fede e di amore tra fratelli e sorelle che si riconoscono uguali in quanto figli di un unico Padre nei cieli. Secondo Paolo di Tarso la paternità spirituale scavalca addirittura quella etnica, cioè biologica: si tratta di un passaggio teologico di portata epocale che significò la reinterpretazione di tutta la storia di Israele: «Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; (è nostro padre) davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,16-17). In un senso simile lo incontriamo anche nel passo 1 Cor 4,14-15. Paolo utilizza qui l’analogia padre-figlio nei confronti dei cristiani da lui generati nella fede al Vangelo. Paolo si riferisce spesso ad un suo ruolo di paternità nei confronti dei primi cristiani (Fm 10). Sappiamo che egli utilizza per sé anche la metafora della madre come in 1Ts 2,7-8: «siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature» o ancora in 1 Cor 3,1-3, ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Restiamo alla valenza teologica dell’adozione: è davvero strano a fronte dei testi scritturistici che siano proprio coloro che si richiamano a valori cristiani ad insistere così tanto sulla necessità biologica della figliazione, quasi cancellando i tanti anni di predicazione e riflessione che la Chiesa ha fatto sulla paternità e maternità responsabile, quando in tempi non troppo remoti si collocava tra i più accaniti fautori del superamento delle logiche biologiche. Non dimentichiamo poi che è proprio nella riflessione su Gesù Cristo – che si chiama in termini tecnici «cristologia» – che il cristianesimo afferma con forza che di figli naturali ve n’è uno solo, Gesù Cristo il Figlio di Dio, il resto dell’umanità dovrebbe considerarsi figlia di adozione. Nel bel testo della Lettera ai Romani in cui si descrive tutta la creazione nel travaglio delle doglie di un parto, San Paolo ricorda che siamo tutti figli adottivi e ciò che lo attesta è una questione spirituale non carnale: «…avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria». Quell’intermezzo tra l’essere venuti al mondo e l’essere adottati è descritto da Paolo come una sofferenza: «gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli» Rm 8, 23 e una tale sofferenza non è patita solo dagli esseri umani, ma da tutta la creazione (v. 19) anzi dallo Spirito stesso che in vista di permettere tale «filiazione spirituale» è all’opera con sforzi inenarrabili (v. 26).

La genitorialità è sempre adottiva

Ha scritto M. Recalcati che «la genitorialità è sempre adottiva» perché essa non si realizza per gli esseri umani nel momento in cui si viene al mondo, ma quando vi è il riconoscimento simbolico del genitore che riconosce in quel «venuto al mondo» suo figlio. Questo ha fatto Giuseppe, prototipo del padre che accoglie un figlio biologicamente non suo, permettendo al bimbo tutela, riconoscimento e accoglienza; questo accade anche nell’episodio del Battesimo quando Gesù uscendo dalle acque arriva alla consapevolezza della sua missione descritta dal testo come una voce che dai cieli gli dice «Tu sei mio figlio» (Mc 1,11; Lc 3,22). È quel riconoscere giuridicamente e simbolicamente («tu sei mio figlio») a rendere propriamente figli, non la legge della genetica fatta di ovuli e spermatozoi che ci fa «venire al mondo come conigli», cantava De Gregori. Quest’ultima forma di generazione, direbbe qualcuno, appartiene agli animali. A fronte di un messaggio biblico così ricco, affatto sporadico nei testi neotestamentari e che struttura i nuclei stessi della fede, della teologia e dei dogmi cristiani, riesce davvero difficile capire che viaggio facciano i pensieri di chi attribuisce alla religione una posizione come quella recentemente assunta da alcuni politici sulla cancellazione delle registrazioni alla nascita di bambini non nati biologicamente dalle persone che intendono mettere in atto il più spirituale degli atti simbolici umani: l’atto simbolico della genitorialità adottiva, quella stessa che Dio ha fatto da sempre in Cristo con il genere umano e che ci ha resi tutti figli adottivi e capaci di amare come lui. Forse è bene ricordare che Giovanni Paolo II in un testo che per altro non brilla per aperture nei confronti dei modelli patriarcali ha scritto che «il mistero dell’eterno ‘generare’, che appartiene alla vita intima di Dio…in se stesso non possiede qualità ‘maschili’ né ‘femminili’. È di natura totalmente divina. È spirituale nel modo più perfetto, poiché ‘Dio è spirito’ (Gv 4, 24), e non possiede nessuna proprietà tipica del corpo, né ‘femminile’ né ‘maschile’». (Mulieris Dignitatem 8). Appare già alquanto disumano negare ad un bimbo il diritto ad essere riconosciuto come figlio a livello legale, che poi si debba giustificare questa aberrazione con riferimenti religiosi risulta perfino raccapricciante. Ma l’Italia è analfabeta in questioni teologiche, con una colpa diretta di chi ha voluto tenere – forse con l’illusione di meglio controllarla – la formazione teologica al di fuori dalle Università statali. Il risultato è – tra l’altro – quello di avere una classe politica che stravolge il messaggio evangelico per proclamarsi cattolica e dall’altra un popolo di credenti incapace di separare il grano dal loglio. Nella recente discussione che ha ruotato attorno all’indicazione ai sindaci di annullare le registrazioni dei bambini alla nascita infatti non si è stati in grado di tenere distinti discorsi contro l’omogenitorialità da quelli contro la Gpa. Viene il dubbio che si siano tenuti legati per colpirli entrambi. Non si intende qui affermare infatti che la Bibbia sia univoca nel dare indicazioni morali o nel dettarci l’agenda bioetica dello sviluppo tecnologico. Proprio perché non lo è, è lecito avere posizioni sfumate e differenti su queste grandi spinose sfide. Innanzitutto sarebbe bene imparare a tenere distinti i problemi che ricadono sotto l’ombrello della Gpa da quelli che ricadono sotto l’ombrello delle coppie omogenitoriali e dei diritti dei bambini. Ma anche di gestazione per altri la Bibbia parla e forse non sempre nel modo in cui ce lo aspetteremmo. La matriarca Sara infatti si serve di Agar (Gen 16) per concepire il desideratissimo figlio che tra l’altro è stato promesso da Dio stesso e non arriva; lo stesso fanno le mogli di Giacobbe (sì due) Rachele con Bila e Lia con Zilpa (Gen 30). Su Maria, madre del Figlio di Dio, andrebbe fatto un discorso diverso, benché nella lettura classica esso potrebbe ben ritenersi un caso di un affitto di utero, e in questo caso da parte di Dio stesso. Per non mettere troppa carne al fuoco forse è bene tornare in dettaglio su certe questioni in un prossimo contributo.