Salvare il polmone del pianeta

La lotta ai cambiamenti climatici è una corsa contro il tempo per sal- vare l’umanità dal disastro. Prima timidamente, poi con via via con maggiore decisione, e di fronte a sempre più frequenti altissime temperature in regioni dal clima generalmente mite, ad alluvioni, allagamenti, frane, o periodi di disastrosa siccità, il consesso delle Nazioni del pianeta pare deciso ad afferrare il toro per le corna, adottando misure drastiche di riduzione delle emissioni di diossido di carbonio (Co2). L’eccesso nell’atmosfera di questo gas nocivo è alla base del cosiddetto ‘effetto serra’ che accentua le catastrofi meteorologiche ed è la causa di un inarrestabile scioglimento dei ghiacciai con conseguente innalzamento del livello dei mari. Si tratta di una emergenza di cui siamo consapevoli, che implica anche un allarme per la riduzione delle foreste pluviali delle zone tropicali. Queste svolgono una funzione fondamentale filtrando l’anidride carbonica attraverso la fotosintesi, in un processo imprescindibile per la sopravvivenza dell’uomo, perché regolano le quantità di anidride carbonica e ossigeno presenti nell’atmosfera. La regina di queste speciali foreste rappresenta il 40% dell’Amazzonia, ribattezzata a giusto titolo come il ‘polmone del pianeta’. Nel novembre 2011, inoltre, la foresta amazzonica è stata dichiarata una delle sette meraviglie naturali del mondo. Della necessità di fare il massimo possibile per la tutela dell’ambiente si occupa fra l’altro l’«Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile» delle Nazioni Unite, che nel punto 15 sostiene che si deve «proteggere, ripristinare e promuovere l’uso positivo degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e invertire il degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità».

L’agenda 2030

Su una superficie di 6,9 milioni di kmq, il bioma amazzonico rappresenta il 5% della superficie terrestre, e riguarda non solo il Brasile, che ne ospita la maggior parte, ma anche Perù, Colombia, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Guyana, Suriname e Guyana francese. Al suo interno vivono 34 milioni di persone, di cui svariate centinaia di migliaia appartenenti a etnìe indigene, ciascuna con la propria cultura e lingua. Si ritiene che l’Amazzonia ospiti il 10% delle specie animali e vegetali terrestri. Da molti anni gli esperti e le associazioni ambientaliste lanciano preoccupanti messaggi per l’attività mineraria illegale e di disboscamento selvaggio realizzato soprattutto per dare spazio a piantagioni di soja e all’allevamento di bestiame da esportazione. Studi hanno assicurato che negli ultimi 40 anni sono stati distrutti circa 800.000 kmq di foresta amazzonica, equivalenti a ben oltre due volte e mezzo la superficie dell’Italia. E ancora, solo fra agosto 2019 e agosto 2020 è andata perduta una superficie di 11.088 kmq, ossia quasi dieci volte il territorio di Roma. Alle proteste della comunità internazionale per questi danni all’ecosistema, fra il 2019 e il 2022 il presidente conservatore brasiliano Jair Bolsonaro ha respinto qualsiasi critica esterna, sostenendo che «la gestione dell’Amazzonia riguarda solo il Brasile». Sono queste le parole che l’ormai ex capo dello Stato utilizzò anche ad una domanda del giornalista freelance britannico Dom Phillips che gli chiedeva quali fossero i piani del suo governo per arrestare la deforestazione dell’Amazzonia. L’importanza della posta in gioco, ed i rischi che si possono correre nell’azione di indagine sui possibili promotori dello scempio continuo, sono sintetizzati dall’assassinio di Phillips, il 5 giugno 2022, nella remota Javary Valley dello Stato brasiliano di Amazonas. L’inchiesta ha portato nel giro di una settimana all’arresto di un pescatore, Amarildo da Costa da Oliveira, che ha confessato di essere stato pagato per uccidere il giornalista «troppo curioso», insieme al militante ambientalista Bruno Pereira, che aveva abbandonato il governativo Fondo nazionale per i popoli indigeni (Funai), all’epoca di Bolsonaro presieduto da un fervente fautore della più sfrenata agroindustria, per unirsi a Phillips, impegnato a denunciare le bande criminali operanti in Amazzonia.

L’accaparramento delle terre

La morte di Phillips non è stata invano, perché il consorzio Forbidden Stories, fondato dal giornalista francese Laurent Richard, ha preso il testimone dell’azione investigativa ed ha denunciato un sistema organizzato di accaparramento di terre amazzoniche. In più, è stata anche portata alla luce del sole l’esistenza di persone che, attraverso le reti sociali, offrono in vendita vasti appezzamenti di foresta. Un esempio fra i tanti, quello di un tale ‘Joao’ che, contattato su Facebook, ha elencato i vantaggi dei terreni in vendita nel cuore della foresta pluviale amazzonica. «Si tratta – ha spiegato – di latifondi enormi, di grandi aziende agricole». Non ha voluto svelare la sua vera identità, ma non è stato avaro di dettagli sulla terra che vende, in linea di principio in modo illegale. Si tratta di vari appezzamenti, la cui superficie può raggiungere gli 8.000 ettari (più di 11.000 campi da calcio), il loro prezzo è di 1.200 reais per ettaro (circa 220 euro). E poi un particolare finale per attrarre il potenziale cliente: i terreni «non sono disboscati», ma niente paura, «la nostra organizzazione può provvedere all’abbattimento degli alberi, senza costi aggiuntivi!».

Lula riapre le speranze

L’accaparramento di terre continua da tempo immemorabile, ma l’arrivo al potere per la terza volta, l’1 gennaio 2023, del presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha riaperto le speranze che qualcosa di buono possa essere fatto per evitare un punto di non ritorno nell’alterazione degli equilibri eco- logici. Intervenendo su questo tema a Brasilia in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente (5 giugno), Lula ha indossa- to una collana di semi su cui si legge il nome di Raoni, cacicco indigeno e figura emblematica della salvaguardia ambientale. E ha rilanciato una versione più avanzata del suo Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione nell’Amazzonia legale (PpcdAm), che fu introdotto nel suo primo mandato, ma poi sospeso nel 2019 sotto il governo di Bolsonaro. Il nuovo testo dovrà essere esaminato dal Parlamento, in cui sono presenti interessi favorevoli più al business che alla protezione della natura. Illustrando il contenuto della proposta, ha detto che «per preservare l’Amazzonia, è necessario prendersi cura delle persone, della fauna e della foresta. Ma non possiamo permettere che gli esseri umani di questa regione continuino ad essere i più poveri del pianeta». Per questo «vogliamo estrarre, condurre ricerche sulla ricchezza della nostra biodiversità per vedere se da quella riusciamo a dare da vivere alla nostra gente», ha aggiunto, citando cosmetici e medicinali tra i settori industriali che possono beneficiarsi di un uso legale della foresta. Ne è seguito un appello ai «Paesi ricchi» affinché mantengano le loro pro- messe e aumentino i finanziamenti per combattere il disboscamento illegale in Amazzonia. João Paulo Capobianco, segretario esecutivo del ministero dell’Ambiente, guidato da Marina Silva, ha confermato che «l’attuale piano riprende parte della formula iniziale. Prevede obblighi non solo per il ministero dell’Ambiente, ma anche per quelli di Agricoltura, Sviluppo agricolo, Industria, Difesa, Giustizia e Pubblica sicurezza». Il testo prevede un monitoraggio satellitare della deforestazione e degli indicatori di degrado forestale. E presenta diverse centinaia di obiettivi, suddivisi in quattro assi principali: monitoraggio e controllo dell’ambiente; promozione delle attività produttive sostenibili; facilitazione dello sviluppo del territorio, e creazione di infrastrutture ambientalmente sostenibili. Infine, uno dei provvedimenti chiave prevede il sequestro immediato di metà delle aree sfruttate illegalmente all’interno del- le zone protette. «Entro il 2027 – si legge nel testo – tre milioni di ettari di queste aree di conservazione saranno delimitate».