Voce di silenzio sottile

Illustrazione di Dianella Fabbri

I cieli raccontano

la gloria di Dio

e il firmamento annuncia

l’opera delle

sue mani.

(Salmo 19)

Angelo: Le parole di fuoco, che nel salmo precedente prendono la forma della lingua dell’innamoramento – «Ti amo, Signore» – non vengono meno neppure in questo salmo, pur sotto una diversa veste. Verrebbe da dire che non può essere che così: il fuoco è fatto di molte fiamme, che si muovono liberamente in ogni direzione. E mentre i nostri occhi sono attratti dalla lingua principale, che sale verso l’alto, ecco che di lato, in modo obliquo, sprigiona luce e calore un’altra fiamma. È come se la passione per i salmisti non fosse riconducibile ad un’affezione tra le tante ma si presentasse come la radice di tutte. Dietro ogni agire umano, alla sorgente di tutti i discorsi: non c’è logos né ethos senza pathos. O meglio, la vita è fatta anche – persino, soprattutto! – di chiacchiericcio e di gesti automatici; è percorsa da anime ignifughe, avvezze all’estintore. Il Salterio, del resto, mette in scena un’umanità di pompieri, che persegue con tenacia l’opera dello spegnimento. Ma proprio in mezzo a questa umanità che parla il linguaggio del calcolo, che brilla di ragione strumentale, ecco che si fa udire la voce orante che semina il sospetto della possibilità di abitare diversamente la terra.

Lidia: In effetti, nella seconda parte del salmo, viene messa in scena la parola di fuoco della Torah, parola divina donata sul monte fumante. Fuoco di una parola limpida, che illumina il cuore; oro purificato nel crogiuolo della sapienza divina. Parola vera e che rende veri; parola giusta, che rende saggi e rallegra l’esistenza. Parola perfetta, che dice il mio nome, che scruta le profondità della mia anima e, nello stesso tempo, la trasforma. Perché quel verbo che le nostre Bibbie traducono con «ristora», «rinfranca», in ebraico esprime la conversione, il cambiamento. Solo le passioni tristi confermano chi ne è affetto; quelle gioiose lo afferrano e lo trasfigurano. Non si è più gli stessi di prima, dopo aver udito parole che bruciano e inquietano, che entusiasmano e sconvolgono. Noi, invece, la parola divina l’abbiamo addomesticata, resa semplice segnale di conferma di quanto già sappiamo. Privata del suo pathos – affascinante e tremendo, allo stesso tempo – giace morta nelle nostre anime, come parola religiosa, incenerita dai nostri fraintendimenti.

Angelo: Il fuoco che avvampa nella parola divina accende anche l’esperienza priva di parole, i suoni della natura che l’alfabeto non può contenere. Così inizia il nostro salmo: con la sensazione che le parole umane non dicano tutto. Esperienza paradossale di chi sente di giocarsi sulle parole sia la relazione con Dio come anche la verità del proprio vissuto. Nessuna esaltazione dell’ineffabile, nessun discredito della parola: è questo il veicolo scelto da Dio per dare forma alla relazione con l’umanità. E la parola di fuoco della Torah ne è conferma. Ma il Creatore non ha dato vita solo all’essere umano. A lui ha chiesto di custodire e coltivare il giardino ma non gli ha dato il monopolio della narrazione. Altre voci sono previste nel copione della creazione, anch’esse infuocate. Ne è testimone quel sole al cui calore nulla si sottrae. Noi umani, per forza di cose, cerchiamo di tradurre in parola anche quei suoni. Lo possiamo fare in molti modi: con l’esattezza del meteorologo o con lo stupore che scorge il sole come lo sposo che esce radioso dall’alcova nuziale. Anche le traduzioni possono essere incendiarie o ininfiammabili! Vale però la pena fermarsi un attimo su quello scarto tra linguaggi, che mostra altre fiamme, che libera il calore dalle ristrette pareti del nostro camino.

Lidia: È l’esperienza di essere rapiti da altro. Incantati per presenze che non sono le nostre: quella del mondo e quella di Dio. «Anche noi, come Elia sul monte, scopriamo che pure il creato – alla stregua di Dio – canta con voce di silenzio sottile». I Salmi danno voce ad un’eccedenza, ad un’ulteriorità che ci riguarda ma che è fuori di noi. Oltre il «narcisismo» di uno sguardo che cerca solo specchi e parole che confermino il nostro sentirci i più belli del reame! Cosa vediamo, quando guardiamo? Cosa sentiamo, quando ascoltiamo?