Salvarsi insieme

Illustrazione di Dianella Fabbri

Di Davide, quando si finse pazzo davanti ad Abimelec e, scacciato da lui, se ne andò.
Io benedirò il SIGNORE in ogni tempo;
la sua lode sarà sempre nella mia bocca…
Celebrate con me il SIGNORE,
esaltiamo il suo nome tutti insieme.
Ho cercato il SIGNORE, ed egli m’ha risposto;
m’ha liberato da tutto ciò che m’incuteva terrore…
Venite, figlioli, ascoltatemi;
io v’insegnerò il timor del SIGNORE.

(Salmo 34)

Lidia: un altro salmo all’insegna dell’entusiasmo. Occorre precisare che non si tratta di esaltazione religiosa: comunque vadano le cose, qualunque cosa Dio faccia, io lo esalto. No. Alla radice di questa esultanza vi è il riconoscimento di un volto divino sottratto all’arbitrio. Dio non fa il bello e il cattivo tempo: desidera solo offrire un tempo bello, una vita buona all’umanità da lui amata. Il Dio di cui parla il salmista è affidabile, poiché si mostra attento, sensibile e agisce a favore dell’umanità. Lo si prega non perché ci si sente da lui minacciati. La preghiera non ha la funzione di distoglierlo da propositi malvagi. Il dialogo con Dio nasce da una chiara confessione di fede: confesso che il Dio in cui credo è un amico, che desidera il mio bene. Per questo l’ho scelto come mio interlocutore.

Angelo: è il Dio liberatore, che ascolta il grido e salva. Israele lo ha conosciuto nell’esodo, l’evento fondatore della sua storia. E i discepoli di Gesù lo hanno riconosciuto nella Pasqua, come il Dio di una vita più forte della morte. Ma questa affermazione netta, appunto, una confessione di fede, il salmo la sottopone a discussione. In modo discreto, quasi impercettibile. Nella sovrascritta, infatti, queste parole sono riferite a Davide, quando si finse pazzo davanti ad Abimelec e, scacciato da lui, se ne andò. Il riferimento è ad un episodio della vita del re (1Samuele 21, 10ss) in cui Davide si finge pazzo per salvarsi da chi ha il potere di ucciderlo. Dunque, da dove viene la salvezza: da Dio o dall’astuto agire umano? È il potente braccio divino a dare forma alla vita benedetta o l’iniziativa arrischiata degli esseri umani?

Lidia: com’è preziosa questa tensione, che tiene insieme il divino e l’umano. Fa da anticorpo ad una preghiera sempre a rischio di ridursi a dare la delega a Dio, perché sia Lui ad agire al nostro posto. Una preghiera che veicola una religione magica, dall’indubbio fascino, a prezzo però di rendere passivo e umiliare l’umano, la sua intelligenza creativa, la sua responsabilità nel fare il bene o il male. Il salmo, riconosce, infatti, che i malvagi non sono eliminati direttamente da Dio, ma dal loro stesso agire: la malvagità farà perire il malvagio (v. 21).

Con la chiave musicale della sovrascritta, che concede la scena a Davide e alla sua scaltrezza, lo spartito del salmo domanda un’esecuzione polifonica, per voce divina e voce umana. Semplificando un po’ la ricca riflessione teologica, potremmo fare nostro l’adagio popolare: “aiutati, che il ciel ti aiuta”!

Angelo: a noi rimane il compito di capire come si articolano questi due soggetti della scena storica, quale sia il nostro aiuto e quale quello di Dio. Il salmo ne suggerisce uno. Se nella prima parte c’è spazio solo per l’esultanza e la lode rivolta al Dio che salva, di cui noi possiamo sperimentare, anzi gustare, la bontà, nella seconda tocca agli umani prendere l’iniziativa, mettendosi in ascolto: Venite, figlioli, ascoltatemi; io v’insegnerò il timor del SIGNORE. Se desideri vivere, ascolta la Parola del Signore, che il salmista intende insegnare. Ascolta come Dio ha sognato la vita buona e lascia che questa parola divina dia forma alla tua esistenza, facendo di te una persona che persegue il bene, che cerca la pace. Come dire: tocca a te agire; ma Dio ti orienterà con la sua Parola, non ti lascerà solo. Nell’ascolto, non nella delega, si tesse una relazione che salva. Una relazione appassionata, che gioisce della presenza dell’altro e gli attribuisce tutto, senza più bisogno di conti separati, dal momento che si è una carne sola.