Non barare con la vita

Illustrazione di Dianella Fabbri

Il SIGNORE siede

come re in eterno…

Abbi pietà di me, o

SIGNORE!

Vedi come mi affliggono

quelli che

mi odiano…

Il SIGNORE s’è fatto

conoscere,

ha fatto giustizia

l’empio è caduto

nella trappola tesa

con le proprie

mani…

(Salmo 9)

Lidia: la pausa notturna del Salmo 8 sta per finire: all’orizzonte compaiono i primi segni dell’alba. Le stelle, però, brillano ancora nel silenzio di quella notte non del tutto conclusa. Lo sguardo di stupore sulla vita minuscola, resa regale dal Signore dell’universo, continua a modellare i pensieri dell’orante; ma, accanto a questi, ne appaiono altri, di segno opposto. C’è il grido di vittoria su quanti minacciano la vita buona: è finita per il nemico! La vita è nelle mani di un Re giusto, difesa da chi giudica i popoli con giustizia. Chi si sente oppresso può rifugiarsi in Lui e ritrovare la serenità perduta. Visione pacificata, sogno notturno. E, di colpo, avvisaglie delle fatiche che il nuovo giorno, puntuale, riproporrà. Sguardo diurno che torna ad osservare i tratti di un’esistenza irrisolta, in balia di altri, sottoposta a situazioni conflittuali che la rendono amara, sfiancante. E che fanno cambiare registro alla voce, passando dallo stupore all’invocazione angosciata: Abbi pietà di me, o SIGNORE! Vedi come mi affliggono quelli che mi odianoErgiti, o SIGNORE! Non lasciare che prevalga il mortale.

Angelo: è questo accostamento stridente che ci fa problema. Di solito, fatichiamo a scorgerlo, tutti schiacciati o sull’impressione positiva che le cose funzionino, che la vita stia andando per il verso giusto; oppure, che niente funzioni, che il male abbia preso il sopravvento e tutto vada a scatafascio. Viviamo di emozioni binarie: o è bianco o è nero. O prevale l’ottimismo o siamo sopraffatti dal pessimismo. Invece questo salmo ci rimette sulla soglia, laddove il dentro e il fuori, il notturno e il diurno, il bene e il male si fronteggiano, coabitano in un medesimo cuore. L’orante abbraccia a colpo d’occhio passato, presente e futuro; e, in un orizzonte così ampio, prova tutte le sensazioni, emette giudizi opposti, dà voce a gioie e delusioni, esprime stupore e urla invocazioni.

Lidia: abbiamo pensato la vita di fede come passi che si muovono nella direzione stabilita da Dio; e il nostro rapporto con Lui in termini alternativi: credere o dubitare, sentirne la presenza o patirne l’assenza, affidarsi o lottare… Nell’una o nell’altra direzione, i passi procedono spediti, mossi dalle emozioni che nel parlamento del cuore sono al governo. Il salmista, con un linguaggio sconcertante, suggerisce di smettere quel cammino e di sostare sulla soglia. Di vivere, cioè, una fede che tiene insieme gli opposti. Che loda e teme; che anticipa la vittoria finale e si perde nell’abisso del presente; che scorge ciò che dura e patisce l’inconsistenza dell’essere mortale.

Angelo: che sguardo sulla vita – e sulla fede! Come definirlo: Complesso? Aperto ai cambiamenti? Al riparo dalla proiezione dei nostri desideri e dalle semplificazioni ideologiche? E l’immagine di Dio, messa a fuoco da un simile sguardo, come appare: Un Dio imprevedibile o, peggio, inaffidabile? Un Dio sullo sfondo, che non può determinare l’andamento delle situazioni? Queste, forse, sono le nostre sensazioni, alla lettura del salmo. L’orante, invece, non dismette il linguaggio forte, tutto d’un pezzo, tipico della tradizione: Dio è re, giudice, salvatore, da celebrare e invocare; il nemico è l’empio che opera il male, e per questo destinato a perire. L’innovazione sta nel brusco accostamento di esperienze opposte e non tanto nel linguaggio con cui le si nomina. Ma quella voce che parla dalla soglia che unisce il dentro e il fuori, la casa e lo spazio pubblico, il rifugio sicuro e il mondo che tende insidie, esprime un cambio di prospettiva che dobbiamo interrogare per procedere più a fondo nel cammino di fede.

Lidia: il salmo ci lancia una sfida, ci consegna un compito che potremmo esprimere così: non si deve barare con la vita, non la si deve dire in bianco e nero. La fede non si trova al termine delle montagne russe emotive, non è il bandolo della matassa, visibile solo una volta sbrogliati i nodi. Fede è stare nel groviglio della vita, assaporandone le gioie e patendone le sconfitte. È stupore e sconcerto, lode e invocazione. Nessun mondo a parte, nessuna corsia preferenziale per i credenti. Solo una fede, allo stesso tempo, povera e arricchente, che si misura con la montagna di obiezioni poste dalla vita osa sperare di essere in grado, lei, granello di senape, di spostare quella montagna.