Memoria del futuro
O SIGNORE, il re si rallegra nella tua forza;
oh, quanto esulta per la tua salvezza!…
Innàlzati, o SIGNORE, con la tua forza;
noi canteremo e celebreremo la tua potenza
(Salmo 21)
Lidia: una preghiera esaudita, una vita non solo fuori pericolo ma colma di benedizioni, una condizione felice: così viene dipinto il quadro iniziale di questo salmo, che si presenta come seguito di quello precedente. L’invocazione corale a favore del re debole è stata accolta; ed ora lo stesso coro riconosce con gratitudine l’intervento divino. Non ce la immaginiamo tutti così la scena della preghiera? Che il Dio della vita ci faccia vivere! Che il Creatore continui a vedere che le sue creature sono cosa buona. E se la realtà spariglia le aspettative e manda in frantumi questo quadro, noi siamo pronti a ricomporlo: se proprio non è in grado di rappresentare la realtà, almeno ne evoca il desiderio, parlando il linguaggio della nostalgia e della speranza.
Angelo: è vero: noi che leggiamo queste composizioni poetiche siamo «l’altra metà del testo» in equilibrio precario, avendo un piede nel mondo dei Salmi e l’altro nel nostro vissuto quotidiano. Non può essere che così. Siamo come Penelope: la tessitura iniziale dei fili del testo non possiamo che disfarla e rifarla, pena il subire la vittoria dei Proci, ovvero la resa al dato di fatto, alla situazione di forza, che pretende essere l’unica voce in bilancio. I fili, però, rimangono gli stessi e la trama di partenza resta la scena originaria che dobbiamo continuamente riscrivere. Già all’interno del libro dei Salmi assistiamo a questa operazione di interpretazione infinita (ma non indefinita). A maggior ragione ora, dopo legioni di lettori, dopo secoli in cui i salmi hanno prodotto una storia plurale degli effetti, a noi spetta la sfida di intraprendere una nuova interlocuzione.
Lidia: I fili tessuti nella trama evocano un presente all’insegna della fiducia (vv. 1-7) ed un futuro in cui immaginare un tempo favorevole (vv. 8-13). Non un linguaggio che ripiega sulla soddisfazione immediata del bisogno, piuttosto un’apertura verso un domani migliore. È vero, però, che l’ordito su cui si intreccia il disegno ci svela un paesaggio lontano dalla moderna sensibilità: una comunità prega per il suo re; ne loda la magnificenza. Ma come pregare, oggi, un salmo regale senza proiettare sul re anticipazioni messianiche cristiane? Paradossalmente, potrebbe essere meno difficile avvicinarsi ad un salmo imprecatorio, dove trova spazio il linguaggio della rabbia, piuttosto che a una preghiera con al centro il re. Tuttavia, la Bibbia non mette in scena la storia come cronaca di corte, nemmeno nei salmi regali. Dietro l’esaltazione del re si scorgono i binari per non far deragliare la monarchia in un governo arbitrario. Dio garantisce il re perché questi segue i suoi insegnamenti e lo teme. Sopra il re c’è un’autorità più alta, che vigila e giudica il suo operato. E così, mentre la comunità prega, ammonisce ed esorta il re a rimanere sottomesso all’autorità divina e a non lasciarsi guidare da altri consiglieri (Salmo 1).
Angelo: Una preghiera radicata in un contesto particolare che, tuttavia, evoca una postura capace di parlare anche a noi che rifuggiamo dalla sudditanza: la postura di chi guarda la realtà presente con una fiducia più forte della disperazione. E, insieme, si fa carico di una sfida che appare ardua, una missione impossibile: fare memoria del futuro. Perché questo significano quei verbi al futuro che evocano una vittoria totale, una terra senza mali: che il futuro dev’essere anticipato. Se ascolto le voci che giungono dal mio mondo, sento il ghigno cinico di chi non crede più alle «magnifiche sorti e progressive»; ed anche il sospetto religioso di chi teme come umane, troppo umane, le aspettative che albergano nei nostri cuori. Ma dal mondo dei Salmi mi giungono voci come quella del nostro orante, che non ci sta ad essere rubricata come ingenua o pericolosa, ad uso di menti passatiste, che non fanno i conti con la realtà.
Lidia: questo salmo ci pone il caso serio delle aspettative seminate nel passato e coltivate nel presente, che indirizzano verso un certo futuro. È un invito ad avere delle attese, oltre ogni deriva rinunciataria, che non sa più sentire e pensare in grande. E per tutelarsi dalle illusioni a buon mercato o dalla presunzione di chi fa i conti senza l’oste, ecco che il cuore dell’orante viene decentrato verso quel Signore che è il mistero di un futuro differente. La preghiera è esperienza di un centro eccentrico, di un ritrovarsi dislocandosi. È presente che si apre al futuro; è passione per la vita che scommette su un’eccedenza, un’ulteriorità divina. Nella preghiera, la trama della fede si fa lavoro di uncinetto, che unisce con precisione punti opposti e che, di fronte alle inevitabili smagliature, rifà l’opera con instancabile pazienza.