La terra, il monte, le porte

Illustrazione di Dianella Fabbri

Al SIGNORE appartiene la terra e tutto quel che è in essa,

il mondo e i suoi abitanti.

Poiché egli l’ha fondata sui mari,

e l’ha stabilita sui fiumi.

Chi salirà al monte del SIGNORE?

Chi potrà stare nel suo luogo santo?

L’uomo innocente di mani e puro di cuore…

O porte, alzate i vostri frontoni;

e voi, porte eterne, alzatevi;

e il Re di gloria entrerà…

Chi è questo Re di gloria?

È il SIGNORE degli eserciti;

egli è il Re di gloria.

(Salmo 24)

Lidia: in questo poema, in cui l’orante non si rivolge direttamente a Dio, mi colpisce l’accostamento di registri così diversi. C’è lo sguardo cosmico, che abbraccia l’intero mondo e ne scorge l’origine nel Signore. C’è, poi, la riflessione etica, a partire dall’interrogativo su chi sia degno di stare con il Signore del mondo. E infine, c’è il linguaggio liturgico, dal ritmo responsoriale, usato per l’ingresso del re nel Tempio. Per la nostra sensibilità contemporanea, l’accordo non ha nulla di armonico. Noi coltiviamo sentimenti oceanici che dimenticano la responsabilità etica e considerano poca cosa la ritualità liturgica. Oppure ci esponiamo e prendiamo posizione su questioni eticamente sensibili, bollando come romantici e ingenui i linguaggi non militanti. Come, del resto, c’è chi si rifugia nel rito perdendo del tutto il mondo.

Angelo: oltre che per i linguaggi differenti, per noi persino estranei gli uni agli altri, il disorientamento è accresciuto per il discorso che da quei linguaggi prende vita. Una terra fondata sui mari e stabilita sui fiumi? Le acque sono ancora più instabili della sabbia, l’opposto di una costruzione fatta sulla roccia! Se il riconoscere che la terra è del Signore esprime la certezza della confessione di fede, dire che la sua stabilità poggia sulle acque mostra la precarietà dell’esperimento mondo, a rischio di finire in un mare di guai. Anche il discorso etico mostra una tensione: se Dio è il Signore di tutti, perché solo chi è integro può stare con Lui? Quanto al culto, perché è necessario lo spazio particolare del luogo sacro, se tutto è opera sua? Noi ci stupiamo di queste contraddizioni e siamo tentati di scioglierle. Invece il salmista ci invita a sostenerle, poiché «e l’una e l’altra sono parole del Signore».

Lidia: la sfida che questo salmo ci pone è quella di maturare uno sguardo unitario sulla realtà, ma non percorrendo le scorciatoie della semplificazione. Sarebbe non solo un’ingenuità, un indulgere alla pigrizia o, peggio, alla disonestà intellettuale, che sceglie di vedere solo alcune cose e non altre: sarebbe blasfemo, perché negheremmo qualcosa che appartiene a Dio. L’unificazione necessaria è un lavoro del cuore che impara a tenere insieme la solidità e la fragilità del mondo, l’affidabilità delle relazioni e la responsabilità di ristabilire la loro giustizia, la sacralità di tutto e la singolarità di gesti e luoghi in cui si condensa una storia. Il Dio biblico si fa trovare da chi lo cerca senza semplificazioni. Angelo: lo sguardo che unifica la vita ha il suono del canto responsoriale, un canto comunitario di voci in dialogo. Lo stupore e la ricerca aprono portali, mettono in connessione mondi, permettono alla giustizia e alla bellezza di incontrarsi, abbracciarsi e persino danzare al ritmo di quelle voci corali che accolgono il mistero del divino nelle proprie storie. La liturgia non sbatte la porta in faccia alla vita: la lascia entrare a pieno titolo, mentre trasforma l’esistenza dei celebranti. Il desiderio di cercare ed accogliere Dio, Signore del mondo, si incontra con la volontà di camminare in modo integro, con cuore puro e mani innocenti, davanti a Lui, sulle strade del mondo. Un mondo che, seppure sostenuto da fondamenta incerte, persino liquide, trova il suo equilibrio proprio in questo modo di guardare e celebrare la vita.

Lidia: stare al mondo, abitando questa nostra storia, senza fughe né presunzioni, partendo da sé; salire il monte, inerpicandosi faticosamente per andare oltre sé; aprire porte, quelle del nostro cuore ma anche quelle delle nostre case e dei nostri templi per incontrare gli altri, l’Altro. La fede dovrebbe essere questo modo plurale e unificato di affrontare la vita al cospetto di Dio. Dovrebbe favorire questo sguardo, che sa vedere in profondità ed è in grado di abbracciare orizzonti. Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà, potrà ancora