La ferita del tradimento
O SIGNORE, contendi contro i miei avversari,
combatti contro quelli che mi combattono.
Prendi il piccolo scudo e il grande scudo, e vieni in mio aiuto.
Tira fuori la lancia e chiudi la via ai miei persecutori;
dimmi: «Sono io la tua salvezza»…Senza motivo, m’hanno teso di nascosto la loro rete…
Eppure, io, quando erano malati,
camminavo triste come per la perdita d’un amico, d’un fratello…
O Signore, fino a quando starai a guardare?
Risvègliati, dèstati per farmi giustizia,
o mio Dio, mio Signore, per difendere la mia causa…
La mia lingua celebrerà la tua giustizia,
esprimerà la tua lode per sempre.(Salmo 35)
Angelo: la scena del male è plurale; l’inferno ha molti gironi. Nel libro delle Lodi, i riflettori si accendono sui troppi nemici che attentano alla vita buona, mentre dall’ombra si ode il basso continuo del lamento, del grido, dell’invocazione. Il male è legione: stai ancora cantando vittoria, dopo una lunga battaglia, ed ecco che ricompare sotto mentite spoglie. Qui ha il volto di persone care, che ripagano l’affetto con il disprezzo. Per costoro – dice il salmista – “camminavo triste come per la perdita d’un amico, d’un fratello, andavo chino e oscuro in volto, come uno che pianga sua madre. Ma, quando io vacillo, essi si rallegrano, si radunano”. Qui il male allestisce la scena del tradimento. E di un tradimento gratuito: “senza motivo, mi hanno teso di nascosto la loro rete, senza motivo hanno scavato una fossa per togliermi la vita”.
Lidia: indubbiamente è il male che fa più male. Perché non te lo aspetti. Perché ti sembra impossibile. Già ferisce che l’altro non ti ringrazi per quanto hai fatto per lui; ma che addirittura ti renda male per bene! Non è solo una ferita narcisistica, una radicale messa in dubbio della propria capacità di intuire la sincerità di un’amicizia: è un’esperienza che ha il potere di uccidere la fiducia, di spegnere la speranza nel genere umano. Se le relazioni non tengono, se non conta l’amore offerto, il bene profuso; se l’opportunismo, l’interesse del momento o – peggio – il gusto di odiare senza motivo hanno il sopravvento: allora siamo in balia di umori irrazionali, allora il nostro desiderio di vita buona sente venire meno il terreno sotto i piedi.
Angelo: da questo ambiente invivibile e dalla disperazione che ne consegue il salmista vuole fuoriuscire: non ci sta, intende dare battaglia. Se niente tiene, se tutto appare inaffidabile, rimane il punto fermo del suo Dio. Ma dov’era Lui, quando i suoi avversari facevano il bello e il brutto tempo? Il Dio assente viene richiamato con forza. È l’orante a dare le consegne a Dio. Se Dio ha dimenticato che bisogna combattere il male, che occorre continuamente arginarlo, allora sarà lui a richiamarlo, dicendogli cosa deve fare: prendi le armi, fa in modo che siano loro a cascare nelle trappole tese contro di me. “Fino a quando starai a guardare?… Risvegliati, destati per farmi giustizia”. Svegliare Dio, richiamarlo al suo compito di liberatore: è una fede audace che qui prende la parola.Lidia: leggo anche un non detto tra le righe, un sospetto che aleggia nell’aria: e se anche Dio, l’amico più importante, lo avesse tradito? Se non stesse solo facendo esperienza dell’inaffidabilità umana ma anche di quella divina? Un sospetto inespresso che il salmista scaccia richiamando il suo Dio all’ordine. In una storia in cui è la parola seducente del serpente a dettare i comportamenti sociali, all’insegna del cinismo e dell’opportunismo, tocca all’essere umano stanare il Dio che si nasconde, domandandogli: “dove sei?”. Solo dopo aver messo coraggiosamente il proprio Dio alla prova del dilagare del male, solo dopo aver gridato contro l’ingiustizia, le parole della fede possono diventare un canto: allora “la mia lingua celebrerà la tua giustizia, esprimerà la tua lode per sempre”. Come ha detto il pastore Bonhoeffer, “soltanto chi grida per gli ebrei, può cantare il gregoriano”. Come ha vissuto Gesù: solo chi grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, può dire in verità: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.