Io sono parola
Porgi l’orecchio alle
mie parole, o Signore,
sii attento ai miei
sospiri… perché tu,
o Signore, benedirai
il giusto; come scudo
lo circonderai
con il tuo favore.
(Salmo 5)
Angelo: I salmi sono un’esperienza di parola. Non solo nel senso più ovvio che un orante si è espresso con quelle parole che, successivamente, sono state attestate nel Salterio biblico così che noi possiamo leggerle. Lo sono in modo più radicale, dal momento che la parola esonda dagli argini troppo stretti dell’uso informativo e comunicativo per tornare ad essere parabola dell’esistenza, forma del vivere. L’orante non si limita a parlare: è parola, meglio ancora è voce, quella voce, con un proprio timbro e tonalità. È parola viva, che dice una vita singolare, dai tratti unici, com’è ogni vita. E dice la propria esistenza non all’impiegato dell’anagrafe ma a quel mistero del mondo che chiamiamo Dio. Detto in altri termini: la parola, qui, è vita che riconosce la sorgente da cui è scaturita e intesse con lei un dialogo, la cui posta in gioco è nientemeno che la verità di un’esistenza.
Lidia: È vero. Il mondo dei Salmi ci sorprende per la particolare esperienza della parola che promuove. Per noi, tutto si riduce al movimento comunicativo di qualcuno, il mittente, che dice qualcosa, il messaggio, ad un destinatario. Come se l’esperienza avvalorasse questo processo semplice e lineare! Sappiamo tutti che, a volte, le parole escono «strozzate» dalle bocche, senza incontrare orecchie pronte a riceverle. Ed altre volte, neppure escono e risuonano silenziose nell’intimo del cuore o inquietanti nelle viscere. È da una simile esperienza che ha preso inizio la storia d’Israele. Il libro dell’Esodo narra di un grido disperato, uscito dalle bocche degli schiavi ebrei, a tal punto oppressi da non poter pensare che ci fosse qualcuno a cui rivolgersi. Dio, però, raccoglie quel grido, non indirizzato a Lui. E da quel momento inizia il dialogo. Dunque, non è per nulla scontato che la parola si apra al dialogo. Lo sappiamo bene noi, oggi, che mettiamo in scena monologhi compulsivi, preoccupati solo di recitare la nostra parte, di far prevalere la nostra voce sulle altre.
Angelo: Il dialogo è l’anima del libro dei Salmi. La grammatica di base della preghiera è tutta qui: nel dare forma ad un dialogo tra l’umano e il divino. Dove, a volte, è Dio a prendere la parola, sollecitando l’interlocutore a fare attenzione: «Ascolta, Israele!». Altre volte, come nel nostro salmo, è l’essere umano a dire: Ascoltami Tu, Signore! Ascolta questa mia vita che si esprime con sussurri e grida: con i sospiri del desiderio che mi abita e per il quale neppure ho le parole per dirlo; e con le urla per il pericolo avvertito di venire meno, per il bisogno di trovare aiuto. Parole plurali, dettate dalle congiunture, soggette agli stati d’animo e agli accadimenti. E, insieme, parola unica, com’è unica un’esistenza: parola, che nel suo fondo, è domanda di esistere, e cioè di trovare se stessi, di avere un orientamento. È quanto chiede a Dio l’orante: «che io veda diritta davanti a me la tua via». A questo livello, nel faccia a faccia con Dio, la parola non esprime richieste specifiche, o perlomeno non in prima battuta. Perché alla radice delle molteplici esigenze, c’è il desiderio di essere vivi, di scorgere la via che conduce alla vita buona. E di poterlo fare nel campo minato di un mondo pieno di presenze nemiche, che lusingano e ingannano.
Lidia: La parola del salmista nasce da uno sguardo lucido sulla condizione umana in questo mondo. Ma nello stesso tempo è abitata da una fiducia di fondo: crede che il grido d’aiuto si trasformerà in grido di gioia. È questa fiducia che lo fa parlare, che lo strappa dal silenzio rassegnato. È questo sentire che nel cammino della vita non è solo; e che quando smarrisce la via, per la sua imperizia o perché altri ne sviano il cammino,
anche allora c’è un Dio che può fargliela ritrovare, accompagnandolo fino a giungere a casa. E solo a casa il parlare incerto e combattuto potrà dire: ecco, ci sono, sono a casa. Questo cercava la mia voce: non informazioni e neppure gesti magici per sgombrare il campo dagli ostacoli. La parola che mi abita, la voce che domanda a Dio ascolto, è desiderio di non essere smarrita. Il Salmo ci sollecita a fare una simile esperienza della parola, sentita come ricerca di orientamento, dialogo, desiderio di giungere a casa, confidando in un Dio il cui favore ci circonda come uno scudo. Per l’appunto, in mezzo alla battaglia, nel groviglio delle fatiche, senza però che venga meno il desiderio.